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Pietro Mosca



Pietro  Mosca


                     Lo scultore e architetto Pietro Mosca    di Occhieppo Superiore (1878-1956).  

                    'L madonàt di Cep

                   Si specializzò nelle riproduzioni della Madonna Nera. Ma fu questa soltanto una parte di attività dell'allievo del Canonica. dalla scultura approdò all'Architettura civile e soprattutto a quella religiosa, incoraggiato da una committenza estesa a tutto il Piemonte.

               Stuccatore nello studio dello scultore Pietro Canonica a Torino, aveva attirato l'attenzione del maestro per la sua particolare attività e sensibilità artistica. Di giorno lavorava e di sera frequentava corsi di disegno, muovendosi e respirando così l'aria di un ambiente artistico di pittori e di scultori."
Tornato in paese all'inizio del secolo, mosse i primi passi da solo e tentò con coraggio scultura ed architettura, con lo spirito dell'artigiano che conosceva il suo mestiere e le possibilità delle sue mani, guidate da una mente pura, maturata nel clima liberty di quel tempo. "
                   Così Nestore Pozzo, occhieppese ed artista lui pure, amico di famiglia dei Mosca, ci presenta un personaggio che ha lasciato nella Valle dell'Elvo inizialmente, nel Biellese ed in Piemonte poi, una traccia singolare ed un'opera architettonica di un autodidatta che non poté, per la povertà della madre rimasta vedova in giovane età, seguire regolari corsi artistici.
                  Maria Rosa Mosca, figlia di Pietro ed affettuosa custode della sua memoria e della sua attività artistica, così ricorda la storia della sua famiglia: "La mamma di Pietro Mosca, mia nonna Giovanna, veniva dal Vandorno, mentre mio nonno era di Occhieppo Superiore e si era stabilito in una casa vicina alla parrocchia ed a quella natale di un occhieppese famoso, l'ingegnere Carlo Bernardo Mosca.
                 Aveva una vettura e due cavalli, che in un anno sfortunato morirono: fu un duro colpo ed i miei nonni si trasferirono da Occhieppo a Santhià, ove presero in gestione una trattoria. Là nacque Pietro, terzo dopo due sorelle. Aveva solo due anni quando suo padre morì di polmonite, lasciando la rnoglie con tre figli da tirare su e con due vecchie zie da accudire.
                   Da buona biellese e montanara della Valle dell'Elvo, la nonna Giovanna non si perse d'animo, fece molti sacrifici e riuscì a tirare avanti la famiglia, dove mancavano i soldi ma non l'affetto. Intuita la propensione al disegno ed alla scultura del figlio, fece il sacrificio più grosso, mantenendolo per otto anni a Torino, ove Pietro entrò come aiuto nello studio dello scultore Canonica".
                   Il Canonica operò a Torino dal 1890: anch'egli, come il Mosca, perse il padre quando era fanciullo ma, a differenza di lui, dovette vincere l'opposizione della madre alla sua vocazione per la scultura, riuscendo a frequentare l'Accademia Albertina, studio che purtroppo al Mosca mancò e che avrebbe affinato le sue doti naturali.
                 Canonica, anche lui aveva nome Pietro ma era di nove anni più anziano del Mosca, espose ventenne a Torino, poi alla biennale veneziana e a Parigi: il successo non lo abbandonò più e passò trionfalmente da un'esposizione all'altra. "Fu un ricercatore - scrisse un critico - irrequieto ed incontentabile, un modellatore squisito, fermo, insistente, di una delicata finezza nei busti femminili, di una dolcezze tenera e deliziosa nei volti infantili; mostrò nelle sue opere che, oltre la vita della superfìce, v' è un'altra vita, più difficile a rendere, ma che l'artista moderno non può trascurare ".
Canonica comprese subito che l'intuizione della signora Giovanna era giusta, apprezzò la serietà, l'impegno, il desiderio di imparare a scolpire del giovane Pietro.


                   Gli fu vicino perché, come lui, orfano del padre; lo fece iscrivere ad un corso sul restauro della Sagra di S. Michele, lo stimolò ad osare, non gli celò i suoi segreti d'artista. "Gli voleva bene" dice la figlia Maria Rosa, che continua a raccontare la storia del papà. " e lo trattava come un fratello, mettendogli a disposizione il suo studio e la sua esperienza. Pietro viveva in una soffitta a Torino, che divideva con un giovane pittore, suo amico. Ritornava ad Occhieppo in treno a fine settimana e ripartiva con la "cavagna" piena di frutta e verdura dell'orto. Se c'era lavoro nello studio, la cesta gli veniva spedita a Torino con Avandero".
                  Un giorno Pietro disse al suo maestro che la figlia dodicenne della portinaia della sua soffitta aveva un bel viso e che gli sarebbe piaciuto scolpirlo. Canonica gli rispose di invitare la ragazzina nel suo studio e, vistala così carina, disse: "Non si deve fare solo il viso. lo le faccio il calco completo in gesso e tu scolpisci quella testina ".
                       E la scultura della “Paulina" si trova ancora oggi nella casa di Occhieppo, mostrata con orgoglio dalla figlia, che prosegue il racconto e ricorda la figura di un padre cui volle bene:
                 “Aveva 29 anni quando lasciò Torino e ritornò ad Occhieppo Superiore nella casa paterna, mosso dal desiderio di cimentarsi in proprio e di sposare Caterina Pozzo, conosciuta alla filodrammatica occhieppese ove lei recitava e per la quale il papà dipingeva gli scenari" Della filodrammatica faceva parte il fotografo Franco Bogge, il cui studio si affermò nella Valle dell'Elvo e che fotografò le opere realizzate dall' amico Pietro.
                       Si sposarono proprio il giorno di S. Caterina, prima in municipio e poi in chiesa, come si faceva allora. Aprì il suo studio in casa e la prima opportunità di lavoro gli venne dal concorso per l'interno della cappella di S. Giuseppe ad Oropa, che vinse ed in cui realizzò la scultura del santo, con Gesù e la madonna, gli angeli e le persone che pregano ".
                       Il lavoro di Pietro Mosca per la cappella di S. Giuseppe piacque all'amministrazione del santuario, che lo aiutò e lo incoraggiò a proseguire nell'arte religiosa. Un episodio curioso segnò i suoi rapporti con i sacerdoti di Oropa e gli aprì un campo di attività e di modesto reddito, come modeste furono sempre le sue richieste. economiche ai suoi committenti.    Un giorno, vicino al sacello della Madonna Nera, egli disse: “Vi chiedo un favore: se mi permettete di osservarla da vicino, la copierò perfettamente". Aveva infatti osservato, girando per le chiese del Biellese, che le copie della madonna d'Oropa allora esistenti erano eseguite con poca cura. La sua richiesta fu esaudita e la statua fu tolta dal sacello e posta sopra l'altare.

                    In breve tempo il Mosca eseguì una copia perfetta della madonna, la portò nel suo studio e cominciò a riprodurla dietro richiesta dei parroci che volevano avere un altare della chiesa dedicato alla madonna d'Oropa . Per quelli che potevano spendere di più, la scultura era in legno di cirmolo, accuratamente dipinta e dorata, per chi voleva spendere di meno, era in gesso, riprodotta da un unico calco. Ed in relazione alle dimensioni dell'altare previsto per accoglierla, il parroco poteva scegliere tra tre "taglie" in altezza di 80-120-160 centimetri, l'ultima alta come la madonna autentica.


                      Dopo la madonna d'Oropa, il Mosca si specializzò nelle statue di S. Giuseppe e molte di queste, con la scritta "Ite ad Joseph", si trovano ancora oggi nelle chiese biellesi. Le richieste erano numerose, per cui Pietro pregò la moglie di aiutarlo nel suo lavoro in studio e lei lo fece con entusiasmo e con perizia: la figlia Maria Rosa ricorda bene quando a loro era proibito di aprire la porta dello studio durante la doratura, perché la foglia d'oro acquistata dal "battiloro" di Andorno sarebbe volata per aria.
                        Così Pietro Mosca è ricordato come "El madonàt di Cep" o "d' la Villa", che è il rione di Occhieppo Superiore ove si trova tuttora la casa che egli ampliò ed abbellì per la sua famiglia. E' giusto, ma riduttivo, ricordarlo come il "madonàt", perché quello fu uno degli aspetti di un'attività artistica che, con gli anni, passò dalla scultura all'architettura.
                     Il Mosca fu un architetto singolare. Egli aveva di certo una bella mano nel disegnare ed i suoi disegni di oggetti, di vetri, di ferro battuto, di mosaici, di particolari ornamentali, conservati dalla figlia Maria-Rosa, lo testimoniano. Era un bravo scultore, su cui la scuola del Canonica e la sua personale ricerca avevano lasciato un segno forte.
                    Ma l'essere un bravo disegnatore e scultore, con poca scuola e largamente autodidatta, non sono elementi sufficienti perché un artista diventi un architetto. Pietro Mosca non si perse d'animo: sollecitato da amici, da estimatori e da possibili committenti, iniziò a studiare le opere degli architetti dell'inizio del '900. Una notevole raccolta di fotografie di edifici liberty e floreali tedeschi, specie di Lipsia, di quel periodo, è mescolata tra i suoi disegni di chiese, di ville, di cappelle, di monumenti funebri, di fontane, di sacrari ai caduti.
                      Un poco l'esperienza ed un poco la committenza lo indirizzarono quasi naturalmente verso l'architettura religiosa, pur accettando di progettare, per gli amici soprattutto, ville e case che dall’iniziale liberty passarono poi dal neogotico al neomedioevale. Ma le piccole chiese, le cappelle, i monumenti ai caduti ed i cimiteri furono la parte principale della sua opera di architetto.
Ne ricordiamo alcune, che formano un itinerario ideale nella riscoperta della sua opera architettonica. Nella sua valle, quella dell' Elvo, la chiesa di Bagneri, le cappelle nei cimiteri di Occhieppo Superiore e di Bagneri, il fonte battesimale di Graglia Santuario, la fontana di Sordevolo. Nel Biellese, le facciate delle chiese di Vallemosso e del Barazzetto, le cappelle nei cimiteri di Vallemosso, Valle S. Nicolao, Crocemosso, Trivero, Mosso S. Maria e Barazzetto, i monumenti ai caduti di Cossila S. Grato e di Vallemosso. In Piemonte, le chiese di S. Maria del Calvario a Domodossola, di Melazzo d' Acqui, di Monteu Roero, di Curone, di Canale d'Alba; le cappelle di Montà d'Alba, di Visone d'Acqui, di Fontanafredda, di Grinzane, di Antagnod; le cappelle nei cimiteri di Carignano e di Asti.
                    La vita serena di Pietro Mosca, della moglie Caterina e dei loro quattro figli, fu funestata durante l'ultima guerra dalla morte del figlio Vanni, suo aiuto e collaboratore fidato, che non ritornò più dalla Russia. L'ansia per il figlio lontano ed in pericolo, la mancanza di notizie, la speranza che fosse vivo, i pellegrinaggi ad Oropa e le preghiere alla madonna, infine la notizia della morte, si ripercossero sul suo fisico e sul suo spirito.



                       Cercò rifugio nel suo lavoro, continuò a disegnare, a progettare, a scolpire, senza l'aiuto del figlio Vanni. Lo volle ricordare con una serie di sculture (una tomba simbolica, l'edicola della preghiera, un libro aperto, il pilone di S. Francesco, il Cervino innevato) cui diede nome di "Sacrarium militis" e che sistemò nel prato che da Occhieppo scende verso l'Elvo. Una bella fotografia, che la figlia Maria Rosa mostra al termine del suo racconto, lo ritrae lì, con il vestito listato a lutto, il viso invecchiato, vicino alla moglie che tiene in mano il rosario ed al nipotino, anch'egli Vanni, come il figlio che non era più tornato.
                   A 77 anni, nel 1956, morì. I suoi numerosi disegni, i progetti, le sculture, le fotografie delle sue opere, conservate con affetto dalla figlia, sono ora a disposizione della comunità di Occhieppo e della Valle dell 'Elvo per ricordare la figura di Pietro Mosca, il suo viso incorniciato da una folta barba bianca, la sua fìgura di galantuomo, la sua vita spesa nel ricordo del figlio, il suo distacco dalle cose che contano poco, il suo carattere severo e grave, stemperato dall’ironia e dal gusto dello scherzo e della battuta, che non manca mai ad ogni autentico occhieppese.

                                                                              Gian Paolo Chiorino

                                                                                                                                                                             (da "Rivista Biellese" - aprile 1999 anno 3 - n° 2 - BieBi Editrice - Biella)






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