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Per una Scuola Cattolica tra le piaghe della Chiesa

Dibattiti culturali

Per una Scuola Cattolica tra le piaghe della Chiesa
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              Per una Scuola Cattolica

 




                 Tra le piaghe della Chiesa





Per una Scuola Cattolica tra le  piaghe della Chiesa


di  Vincenzo  Panzeca

Al mio Vescovo Gabriele e a tutti i sacerdoti, religiosi e religiose della Diocesi, affinché il Signore possa fare scendere su di loro grazie copiose, pazienza, prudenza, fervore nella fede e nelle opere.



Introduzione

Un sacerdote mi ha chiesto se fosse stata mia intenzione imitare "Delle cinque piaghe della Santa Chiesa" di Antonio Rosmini. In verità, confessando la mia grande ignoranza, non conoscevo quell’opera né sapevo che l’illustre filosofo ne fosse stato l’autore, così mi sono documentato un po’ dopo aver già terminato questo breve scritto.
Ebbene, sono venuto alla conclusione che le mie povere parole sono ben poca cosa di fronte al genio rosminiano, uno dei tanti geni dimenticati volutamente oggi dalla cultura ufficiale sia laica che religiosa. L’amore tuttavia che trasuda dalle righe di quel libro per la Santa Chiesa non è superiore a quello che sempre ho provato io per la Sposa di Cristo. La differenza forse sta nel fatto che il mio sentimento si divide in egual misura tra la Chiesa, la Scuola, la Famiglia, tre realtà sociali ed educative fortemente in crisi, una crisi che probabilmente la Famiglia e la Scuola ai tempi di Rosmini non conoscevano ancora, e neppure la Chiesa.
Oggi uno spirito diabolico, secolarmente diabolico, è entrato nelle ossa e nel cuore di tutte e tre le sacre istituzioni e sembra che nessuno se ne accorga, intenti tutti ad assecondarlo, rassegnati, come se fosse inevitabile, compromessi con le sue stesse categorie che di cristiano hanno nulla, o solo le apparenze, che sono le più pericolose perché giustificano e assolvono.
Della Scuola ho già esposto il mio pensiero ne "La scuola dei DS", qui ho voluto valutare nello specifico la Scuola Cattolica in Italia e la sua evidente crisi su tutti i livelli, ma soprattutto mi sono proposto di evidenziare gli errori (le piaghe) più manifesti e pericolosi di cui soffre la società "democratica", che hanno insidiato anche la nostra Chiesa e che conseguentemente hanno invaso la Scuola Cattolica.
Non me ne voglia chi, alla lettura, pensa di essere stato tirato direttamente in causa: alla mia riflessione non interessano gli uomini le cui intenzioni possono essere conosciute e giudicate solo dalla spada a due tagli di nostro Signore, ma gli errori da cui ci si propone di mettere in guardia chi non ne ha ancora colto la gravità assoluta, o forse non ne è neppure consapevole.


A) La nuova società italiana a partire dagli anni ’60

 1) La rivoluzione e le piaghe del Secolo

Ho voluto specificare "italiana", innanzi tutto per circoscrivere esclusivamente all’Italia questa breve riflessione e poi perché non avrei le conoscenze sufficienti per addentrarmi in altre esperienze europee, o extraeuropee.
Dagli anni ’60, con l’emigrazione dal Sud al Nord e dalle campagne alla città, il quotidiano è entrato lentamente per tutti nella prospettiva del consumismo industriale dal ritmo folle (la piaga del consumismo). Da allora le distrazioni (la piaga dell’alienazione) di ogni genere si sono moltiplicate lasciando degli spazi minimi a tutto il resto, mentre la libertà è diventata il paradigma di ogni azione, una libertà sempre più insofferente e assoluta (la piaga dell’abuso).
Alla fine degli anni ’60 si registra poi la grande contestazione di piazza che mise sottosopra le fabbriche ma soprattutto le scuole, fino allora completamente estranee a certi movimenti sovversivi. Intanto in grembo alla Chiesa si registrava un’emorragia di preti che si spretavano, o si ribattezzavano "preti operai" aumentando le spine nel cuore del Santo Padre Paolo VI; le vocazioni, nello stesso tempo, segnarono una battuta d’arresto formidabile, riducendo al lumicino moltissime congregazioni nel giro di due/tre decenni. Aborto e divorzio diventavano legge di stato, mentre nuove disposizioni avrebbero regolato l’insegnamento della religione nelle scuole, limitandone fortemente la portata.
I partiti progressivamente lasciavano le ideologie cui si erano ispirati fin dalla nascita, che per il fatto di essere state ideologie non si rimpiangono, allo stesso tempo però quelle ideologie avevano anche supportato degli ideali che scemavano assieme alle prime, lasciando dei vuoti etici preoccupanti dove tutto faceva e fa brodo (la piaga dell’amoralità), in un indistinto privo di valori essenziali, o con valori senza storia che non sono riusciti ad attecchire su un tessuto ormai abituato al calcolo pragmatico (la piaga dell’utilitarismo).
Con questi mutamenti rivoluzionari, per essere circoscritti a pochi decenni, registriamo l’inizio del dissolvimento lento ma inesorabile di tre istituzioni educative: la famiglia, con l’introduzione del divorzio e dell’aborto; la scuola, con riforme insensate e rattoppate; la chiesa, che, dopo quasi cinque secoli di rigorismo, adottava, anno dopo anno, ovunque, un atteggiamento non solo tollerante, ma, a mio avviso, buonista fino all’eccesso, inconsapevole di quello cui si stava andando incontro (la piaga del lassismo).
Frattanto ho visto empi venir condotti alla sepoltura; invece, partirsene dal luogo santo ed essere dimenticati nella città chi aveva operato rettamente. Anche questo è vanità. Poiché non si pronuncia una sentenza immediata contro una cattiva azione, per questo il cuore dei figli dell'uomo è pieno di voglia di fare il male… (Ecl.8,10-11)
A questa rivoluzione generale si sono aggiunte con gli anni le trasmissioni televisive e cinematografiche, spesso ispirate alla violenza (la piaga della violenza), al turpiloquio, alla trasgressione (la piaga della vergogna), alla dissacrazione, ma soprattutto al dubbio metodico (la piaga dello scetticismo) sulle verità che da sempre erano state ritenute sacre e indiscutibili.

2) gli effetti devastanti sotto un profilo strettamente umano
…i malvagi e gli impostori procederanno sempre in peggio, ingannatori e ingannati nello stesso tempo. (2Tim.3,13)
La nuova società, e non solo quella italiana, formatasi da queste trasformazioni repentine, è una società sostanzialmente malata, anche solo da un punto di vista laico, se il consumo degli psicofarmaci, tranquillanti, sonniferi, eccitanti, antidepressivi, per non mettere sul piatto le droghe leggere e pesanti, è aumentato in modo vertiginoso (la piaga delle droghe).
Una famiglia su tre è divisa, con effetti destabilizzanti sull’equilibrio psichico dei figli (e nessun sapiente provi a sostenere il contrario, come se fosse una condizione naturalmente acquisita dalla prole, se gli stessi sapienti consigliano nelle eventuali divisioni, di adottare per i figli un sostegno psicologico programmato), ma anche sull’equilibrio psichico del coniuge più debole, senza contare certe ricadute economiche praticamente insostenibili, quando la famiglia non ricca si trova divisa in due tronconi con una sola entrata (la piaga della divisione).
Le convivenze intanto rivelano la paura fondamentale a impegnarsi, a credere, a donarsi e ad affidarsi a un altro, a costruire assieme, con uno sguardo ottimista sul futuro, grazie proprio a quell’assieme (la piaga della superficialità e dell’irresponsabilità); mentre i figli diventano un giocattolo di cui ci si vuole baloccare in ogni condizione anche la più assurda, dimenticando i doveri genitoriali (la piaga dell’egoismo). Si badi bene che queste ultime riflessioni non sono rivolte a difendere l’indissolubilità del matrimonio, che non penso che si possa imporre a una società variegata.
L’aborto ha poi trasformato la società in un consorzio di cadaveri, destinato all’estinzione; una società che per sopravvivere deve mendicare la manodopera dagli altri continenti che, se furono inizialmente il serbatoio per raccattare preziosi, poi materie prime, oggi sono il serbatoio massiccio per le braccia destinate a quei lavori che il popolo italiano (e non solo italiano) non ha più voglia di svolgere (la piaga della pigrizia e dell’ozio). Da qui tutti i problemi dell’immigrazione che inacerbiscono ancora di più gli animi in una lotta senza quartiere tra poveri.
La frenesia della società consumistica e industriale sposa ovunque l’incapacità, o l’impossibilità di fermarsi, di meditare, di ascoltare (evidentemente non le canzonette nella morsa delle cuffie), non si ha tempo[Si veda anche Appendice n 1] e, se per caso si trova, si hanno già pronti i passatempo, per "ingannarlo". Le radioline funzionano a ritmo serrato e tra i pensionati i canali televisivi occupano tutte le ore del giorno e della notte per… non pensare (la piaga dell’evasione e ancora dell’alienazione, molto peggiore di quella denunciata da Marx).
In questa situazione abbastanza desolante per i più elementari rapporti umani si aggiungono gli scandali a tutti i livelli e il fallimento nella prassi del sistema democratico scaduto a interessi di parte e di borsa, intrecciati a incompetenza e superficialità. Sulla corruzione poi giocano i giornalisti per fare spettacolo, o per vendere i quotidiani ormai sostituiti in parte dalle notizie in tempo reale, che però nei contenuti seguono le stesse linee della carta stampata, rare sono le eccezioni (la piaga degli scandali).
In una società così decaduta, la classe dirigente ha tentato più volte di trovare dei rimedi, ma le strade battute hanno registrato un ulteriore peggioramento: senza l’esempio, infatti, con la forza delle sole leggi, si può cambiare ben poco; così gli interventi legislativi hanno appesantito inutilmente tutto l’apparato statale e le tre espressioni che caratterizzano una nazione democratica, sono state asfissiate da un formalismo disumano e impersonale (la piaga della burocrazia); intendo innanzi tutto la scuola e poi l’assistenza sanitaria. Per analizzare i mali della prima, rimando alla Scuola dei DS; per la seconda, i concentramenti voluti con la soppressione delle piccole case di cura, i tagli alla sanità, la superficialità degli operatori… hanno spesso vanificato i grandi progressi della scienza e della medicina a scapito dell’umanità; rimando su questo argomento a La mia mamma aveva il morbo di Alzheimer.
L’amministrazione della giustizia d’altra parte, con tempi interminabili e con nuovi adempimenti burocratici, sembra che si voglia apertamente lenta e farraginosa, per permettere ai burocrati, ai politici, alle multinazionali, alla criminalità organizzata, con i rispettivi collegi di difesa e di accusa, di poterla fare franca, aiutati dagli indulti, dalle grazie, dalle amnistie e dalla scadenza naturale dei termini.
In questa prospettiva i cittadini hanno perduto la fiducia: fiducia nel governo e nei parlamentari, fiducia nei servizi che spettano di diritto a chi lavora onestamente e paga le tasse, fiducia nella giustizia e nella sicurezza, fiducia nel proprio futuro, fiducia negli altri in genere, per il timore di essere imbrogliati. Quando si entra però nel tunnel della sfiducia si fa presto a passare all’incomunicabilità che si coniuga poi con la solitudine, i mali del XX e del XXI secolo, messi in scena sapientemente dall’opera di Pirandello (le piaghe della sfiducia, dell’incomunicabilità, della solitudine). [Si veda anche Appendice 4]
Sembra che mai come oggi i mezzi di comunicazione siano stati così efficienti, in realtà è il cuore dell’uomo a non riuscire più a comunicare, quando, ad esempio, nell’anonimato balla tra luci psichedeliche e musiche assordanti, quando contesta in massa, quando si trova allo stadio, quando abita nello stesso condominio, ma non conosce l’inquilino accanto, quando si perde nei centri commerciali, o nelle stazioni metropolitane, o semplicemente quando cerca un’avventura facile per trascorrere in modo diverso la sera e la notte.


3) I miti laicisti

Visto però che l’uomo senza degli ideali, senza un termine di confronto, senza spirito, senza dei miti, direbbe uno psicologo, non riesce a vivere, ecco che questa società, malconcia e moribonda, li ha fabbricati a proprio uso e consumo (la piaga degli idoli). D’altra parte in Italia, al momento dell’unificazione, ci si era già cimentati in questa impresa; in un secondo momento ci provò il fascismo; dagli anni ’60 è stata la volta del sistema consumistico-libertario- democratico.
Sappiamo che la storia moderna dell’Occidente già nel XVIII secolo tentò di sostituire ai valori cristiani quelli illuministici: la ragione diventava "Dea"; il calendario gregoriano cedeva il posto a quello rivoluzionario francese; Napoleone esportava la libertà, la fraternità e l’uguaglianza in tutta Europa saccheggiandone le espressioni artistiche e culturali più preziose e portandosi dietro milioni di morti nel giro di pochi anni. Nel secolo successivo seguì il mito della scienza come soluzione a tutti i mali del pianeta, e la scienza fin dalla guerra di Secessione riuscì a fabbricare tanti e tali ordigni di morte che le guerre da allora furono delle vere ecatombe.
Fu la volta nel secolo successivo del nuovo mito marxista in Russia e poi in Cina; seguì il mito nazista della razza… e i morti furono altre decine e decine di milioni.
Molti di quei miti sopravvissero nonostante tutto, in sordina, tra le macerie, non più prepotenti ma silenziosi e pericolosi come i serpenti, aggiungendosi a quelli nuovi che sembrano ispirarsi alla vera liberazione dell’uomo.
Proviamo a individuarne qualcuno:

I) Il mito della ragione in simbiosi con il mito della scienza sono diventati la sola garanzia di verità per una ricerca seria e qualificata, e lo spartiacque di ogni confronto: in questo sta il mito (la piaga dello scientismo). Il mito oggi è certificato dalla scienza ufficiale, apparentemente rispettoso della fede dei credenti, in pratica ne è il boia (attenzione che definisco "boia" non la ragione e la scienza in sé, ma la ragione e la scienza quando sono promosse a mito dall’immaginario collettivo sotto la pressione della cultura ufficiale).  Ciò che non può essere misurato, esperito e quantificato, anche se evidente e indubitabile, è rigettato come infondato (la piaga del materialismo).
Con dei procedimenti definiti scientifici, s’insinua, infatti, il dubbio, si sovverte il credo millenario, si dà una silenziosa pennellata di superstizione a tutte le espressioni della fede cristiana. Si vuole una religione immanente senza Dio e della religione si accettano solo le opere di valenza sociale, a patto che si siano disfatte di ogni identificativo che possa ricondurre in qualche modo alla fede e a Cristo di cui con pseudo ricerche di scarso valore scientifico, si banalizza l’immagine, quando non si mettono in piedi veri e propri romanzi d’appendice (la piaga della menzogna).
Voi dunque, carissimi, essendo stati preavvisati, state in guardia per non venir meno nella vostra fermezza, travolti anche voi dall'errore degli empi. (2Ptr.3,17)

II) Il mito della libertà, sostenuto sempre da anarchici e liberali, è diventato prima un attributo specifico delle forze più estreme della Sinistra, poi della Sinistra storica, poi del Centro e di tutto il movimento cristiano, poi anche della Destra ex-fascista. Non si vuole mettere in discussione la "libertà" che oltretutto Cristo è venuto a garantire perché ogni uomo fosse veramente libero dall’asservimento ai vizi e dall’umiliazione del peccato, ma la pseudo libertà liberticida, quella che vorrebbe permettere all’uomo ogni licenza contro se stesso e contro gli altri. Sto mettendo sul piatto della bilancia la licenza alla droga, all’aborto, al sesso libero, all’eutanasia, alla violenza, allo stupro, al turpiloquio… insomma la licenza istituzionalizzata all’illecito.
Allora ci si chiede, ad esempio, se non si violi la libertà dell’uomo battezzarlo ancora incosciente e non sia meglio rimandare il battesimo alla maggiore età; ci si chiede se non si violi la libertà dei non cristiani affiggere un crocefisso in un luogo pubblico, o pregare il dio cristiano in una mensa gestita da cristiani ma aperta a tutti; o obbligare alla messa domenicale i più giovani quando non sono ancora in grado di una scelta autonoma; o censurare la sporcizia istituzionalizzata, tutelata dalla libertà di espressione e da quella artistica.

III) Il mito della democrazia. Tutti i governi oggi si fregiano di questo nome, anche se i popoli in questo mito ci credono sempre di meno; le democrazie istituzionalizzate occupano ancora molte pagine dei testi scolastici che per lo più ne celano le vergogne. In ambito europeo si celebra la democrazia inglese che ha colonizzato in tempi non lontani interi continenti, sfruttandone le ricchezze; si celebra la democrazia francese che con la sua legione straniera è stata cacciata via sia dall’Africa sia dall’Asia. Entrambe le democrazie si sono macchiate della pace di Versailles, più che una pace una vera e propria dichiarazione di guerra vessatoria che è stata la causa prima, per reazione, del successo fascista e di quello nazista.
In ambito extraeuropeo troneggiano gli USA che hanno interferito per due secoli negli affari interni dei governi neolatini sostenendone le dittature e… non solo. Sono intervenuti nei due conflitti mondiali solamente quando sono stati toccati direttamente nei loro interessi economici e militari, e hanno avuto la bella idea, assieme a Francia e a Inghilterra, di esportare con le armi il mito preconfezionato della democrazia nei paesi islamici, destabilizzando tutto il Medio Oriente e l’Africa.
Oggi l’Italia democratica detiene il primato della corruzione e degli stipendi d’oro ai parlamentari; in Italia si attendono decenni per l’esito di un giudizio; il governo italiano interviene in forza con il suo esercito nei paesi stranieri per assicurare il cosiddetto ordine democratico, ma tollera la delinquenza mafiosa organizzata dentro i suoi confini; le leggi italiane puniscono puntualmente e saccheggiano i conti dei cittadini onesti, premiano i delinquenti e… tuttavia non c’è politico che non definisca l’Italia, un "paese democratico".

IV) I miti pubblicitari: bellezza, giovinezza, classe, ricchezza, successo, ottimismo… miti che tutti apparentemente vogliono sottovalutare, ma di cui un po’ tutti si alimentano. Giovinezza e bellezza hanno fatto fiorire la chirurgia dei rifatti; la ricchezza e il successo, il gioco d’azzardo gestito dallo Stato democratico; classe e ottimismo hanno allontanato democraticamente dal consorzio civile chi ne poteva guastare le apparenze, eludendo gravissimi problemi sociali ed economici.
Tutto questo ho visto riflettendo su ogni azione che si compie sotto il sole, quando l'uomo domina sull'altro uomo, a proprio danno. (Ecl.8,9)

4) La Storia vera come alternativa alla storia dei miti e delle bugie
Ora, tutto ciò che è stato scritto prima di noi, è stato scritto per nostra istruzione… (Rom,15-4).

Pur sapendo che l’Apostolo con quelle parole faceva riferimento alla Verità Rivelata e alle Sacre Scritture, non vedo perché il principio non possa essere applicato anche alla storia del genere umano. Non sono allora riuscito a cogliere la ragione che spinge gli insegnanti a trascurare la Storia (non le storie… quelle entrano dappertutto!): sembra quasi che si abbia paura della verità, la verità che potrebbe scuotere proprio le certezze dei miti di qualsiasi colore.
Per lo più quando la docenza tocca all’insegnante di Lettere, la Storia è sacrificata all’Italiano, quando tocca all’insegnante di Scienze Umane, la Storia è sacrificata alla Filosofia; spesso sono elusi interi capitoli se non mezzi testi. Eppure se la filosofia è la mater scientiarum, la Storia (quella con la "S" maiuscola) è la magistra vitae. Perché dunque questa poca attenzione della Scuola verso una materia che io riterrei la più importante perché è a fondamento di tutte le altre?
D’altra parte gli uomini di Stato hanno dimostrato più volte, di essere proprio sulla Storia, dei grandi ignoranti, così hanno ripetuto a ruota libera gli stessi errori del passato; il proverbio però di sapienza antica ammonisce: Errare humanum est, perseverare in errore autem diabolicum.
Se poi si tenta di fare Storia nonostante tutto, allora con metodi spesso abbastanza discutibili, i docenti, dopo dotti corsi di preparazione, pagati salatamente (i corsi di preparazione evidentemente, non i docenti!), dopo concorsi e abilitazioni, insegnano Storia come si apprendeva mezzo secolo prima, con la sola differenza che oggi la si insegna oltretutto a gocce isolate, come grandi cattedrali nel deserto.
Non si è mai cercato di contestualizzare, non si rapporta il passato con il presente, né ci si accosta alla Storia per interpretare i tempi odierni. La storia insegnata nelle scuole è spesso una storia morta ed estranea che può addirittura alimentare gli stessi miti di cui si è detto.
La storia dei romanzi storici contemporanei e delle loro versioni televisive non cambia di molto. Si pensi, ad esempio, a Il nome della rosa di Umberto Eco: in quel monastero benedettino in cui si svolgono i fatti, non si sarebbe potuto concentrare di peggio. Intrighi, omicidi, oscurantismo, processi sommari, depravazione, superstizione, violenze… e… non poteva mancare la leggenda nera dell’Inquisizione Medioevale (si veda anche sul sito: www.parrocchiasmamosso.it, dibattiti culturali, inquisizione) oltretutto senza alcuna contestualizzazione.
Nulla sulla funzione culturale, militare difensiva, organizzativa ed economica quale ebbe il monastero medioevale. Niente di più falso, avulso totalmente dalla verità e da un’analisi seria sulla cultura del tempo. Estranea, quell’opera, alla profondità lucida ed equilibrata del romanzo storico manzoniano che, senza togliere le responsabilità a chi le poteva avere, dà a Dio quello che è di Dio e agli uomini quello che è degli uomini. Il romanzo storico di Manzoni però fu prodotto nella prima metà del XIX secolo, quello di Eco nella seconda metà del XX.
Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. (2Tim.4,3-4)
La storia televisiva poi è la storia dei "magni", degli imperatori, dei guerrafondai, da Alessandro a Carlo, da Gengis Khan a Kublai Khan, da Cesare a Napoleone; dei dittatori e dei mostri, da Nerone a Caligola, da Caracalla ad Attila, da Stalin a Mao, a Hitler; la storia televisiva è storia di guerre, di tattiche militari, di alleanze e tradimenti; la storia televisiva è storia di regge, palazzi, giardini, castelli… colti e proposti in sé, senza nessuna riflessione etica, senza estrapolare nessun ammonimento storico, senza far in modo che la Storia possa in qualche modo espletare la sua funzione di Magistra, in un’ottica, come se non bastasse, tutta costellata e sorretta dai miti di cui oggi la società si alimenta.
A che serve una storia così cristallizzata, senza colore né identità? Una storia che ha sforbiciato nei secoli e ha riesumato solo le situazioni più interessanti sotto il profilo delle categorie odierne, situazioni celebrate perché violente, o scabrose, o scandalose, o perché in sintonia con i miti contemporanei della bellezza, del sesso, della classe, della ricchezza, come quotidianamente fanno i giornali.
La Storia vera è un'altra cosa, è un altro approccio con il passato, non è semplice erudizione, come una collezione di cartoline o di francobolli, passatempi più che legittimi e anche potenzialmente utili, perché potrebbero essere di supporto alla stessa indagine storica, ma che, se circoscritti in se stessi, sono del tutto inutili. La Storia deve valutare le cause e gli effetti in una prospettiva assolutamente oggettiva, non con gli occhi dell'ideologia, o della politica, o di un giornale scandalistico. La Storia esamina tutti gli avvenimenti in eguale misura e non solo quelli che possono far colpo e solleticare la curiosità delle masse; la Storia deve contestualizzare il passato e attualizzarlo nel presente; la Storia deve riflettere ed emettere dei giudizi di valore etico, proprio per espletare la sua funzione di Magistra, per aiutare cioè  l'umanità a non ripetere gli stessi errori e, di contro, per aiutarla a individuare le espressioni politiche, religiose, intellettuali che, lungo i secoli, hanno garantito pace, progresso, collaborazione e cultura, al fine di consacrarle a modello delle nuove generazioni.


5) Silenzi e storture sulla Storia del Cristianesimo anche nella Scuola

Su questo quadro desolante si spiegano il silenzio e le storture storiche sul Cristianesimo e sulla Chiesa di cui si conoscono solo le guerre di religione, l’inquisizione, le crociate… velatamente oscurantista e reazionaria, la Chiesa, in ogni epoca. E’ un percorso tortuoso che non si riesce a cogliere con facilità, anche perché mai come oggi la Chiesa sembra tollerata e rispettata; d’altra parte i mezzi d’informazione non osano colpire direttamente il papa, ad esempio, specie se è un uomo entrato nelle simpatie della gente; né hanno mai sferrato degli attacchi a personaggi in odore di santità ancora prima di esserlo ufficialmente, si pensi solo a padre Pio o a Madre Teresa di Calcutta, anzi spesso, attorno a questi, si sono imbastite trasmissioni che sfondano poi gli ascolti.
Il veleno è più sottile e ci vollero almeno vent’anni d’insegnamento perché io riuscissi a rendermi conto consapevolmente sia dei miti laicisti, di cui ho già scritto, celebrati ovunque, sia di questi silenzi, accompagnati a notevoli storture, presenti anche tra i banchi scolastici.

Provo a produrre qualche esempio sui silenzi della cultura e della storia, sia nelle trasmissioni televisive sia a scuola, che, se potranno non sembrare scandalosi (i silenzi), è solo perché sono entrati a tal punto nella routine culturale quotidiana anche della gente più preparata, degli stessi preti e dei religiosi, che nessuno riesce anche solo ad accorgersene.

- Ad esempio, chi svolge i programmi ministeriali di filosofia nel terzo anno di un liceo, ne dimentica per lo più tutta la seconda parte, una fetta notevole che comunque si trova sui testi adottati. Così fece cinquant’anni fa il mio insegnante di filosofia, così si continua oggi; è già tanto se a tutta quella produzione si riserva qualche fugace attenzione. Quei mille anni di pensiero sono mille anni di pensiero cristiano, patristico e scolastico. Una produzione immensa che è sistematicamente dimenticata, come se non ci fosse mai stata.
Sempre in ambito filosofico si prediligono gli autori nella fase critica del credo e dei valori cristiani: ad esempio, in quarta liceo, nessun insegnante si sogna di non svolgere Kant, di Kant è d’obbligo la "Critica della Ragion Pura", forse "La Critica della Ragion Pratica", ma là dove, sia della "Ragion Pratica", sia della "Critica del Giudizio", le verità contestate dalla "Ragion Pura", libertà, anima, Dio, rientrano, o si bypassa il tutto diplomaticamente, o lo si accenna appena, con evidente ricaduta di parte sul discente, che, consciamente o no, ricorderà solo che l’esimio filosofo tedesco smantellò tutte le prove razionali sull’esistenza di Dio, dell’anima, della libertà, e non l’avvenuto recupero.
Ai filosofi italiani poi, nell’ultimo anno ad esempio, si preferiscono gli stranieri, esclusivamente perché gli italiani sono filosofi cristiani e non materialisti.

- In Letteratura latina, l’ultimo anno, nei programmi e sui testi scolastici, troviamo le Christianae Litterae, cioè le opere scritte in latino da quegli autori che si convertirono al Cristianesimo, dopo che la produzione latina-pagana si era esaurita. Ebbene, difficilmente questi autori, da Agostino ad Ambrogio, da Lattanzio a Tertulliano, da Gerolamo a Minucio Felice diventano argomento di lezione. Evidentemente il contenuto delle loro opere non è erotico come in Ovidio, non è dissacratorio come in Petronio, non è satirico come in Marziale o Giovenale… Pur riproducendo i generi letterari della cultura romana, i contenuti sono essenzialmente spirituali, dagli inni ai sermoni, dalle traduzioni bibliche alle apologie, dalle preghiere alle meditazioni… Di questi contenuti, a quel che sembra, la cultura ufficiale di oggi non vuole sentire parlare, trascurando anche qui opere ciclopiche.

- In Letteratura italiana, ma quest’osservazione vale anche per le letterature straniere, sono prediletti gli autori privi di fede, ovviamente mi riferisco alla fede cristiana, oppure la produzione e le opere in cui l’influenza cristiana è assente. Difficilmente, ad esempio, si presentano la seconda e la terza produzione di Ungaretti, quando il poeta ritrova la fede; difficilmente di Pascoli si affrontano le composizioni, dove il poeta è alla ricerca, sì, smarrito, ma è alla ricerca del Soprannaturale, identificato con il Dio cristiano; Fogazzaro, Bacchelli, Guareschi, Messori, Camilleri… sono sconosciuti. Si preferisce proporre insistentemente, ad esempio, Salinger con il suo Giovane Holden, un ragazzo scapestrato, angosciato, disfattista, nullafacente, privo di ogni ideale e di ogni volontà di fare.
Dante e Manzoni più di una volta sono stati lì lì per essere defenestrati; su Dante, a livello europeo, da pochissimo si sono levate le voci (dei soliti ignoranti) che denunciavano la sua presunta avversione per Maometto, offensiva per i nuovi immigrati, voci che avrebbero voluto obbligare Dante al silenzio anche nelle scuole. La grandezza artistica dei due esimi italiani è tale però da non poter neppure essere scalfita dalle parole di certi scarafaggi. Tuttavia troppo spesso si studia l’opera dei due giganti in una prospettiva solo letteraria e storica, sottraendola all’ispirazione che invece è tutta cristiana: impossibile però conoscere l’opera di un’artista se s’ignora la matrice.

- In Storia dell’Arte, giacché in Italia non si può fare arte ignorando chiese, basiliche, monasteri, con i relativi dipinti, le sculture, i mosaici, si presentano i puttini, le esedre, i capitelli, le piante, i presbiteri, i colori, le prospettive… Dell’ispirazione che ha prodotto tutto quel patrimonio immenso: nulla!

- Ma è nella Storia che si arriva al paradosso: ho già scritto dei miti laicisti, ma, a quell’aberrazione, si aggiunge il silenzio voluto (e forse ripetuto senza consapevolezza da molti docenti, come capitò ai miei primi anni d’insegnamento, abituato ormai fin dalle scuole elementari a una certa routine) sulla storia reale del Cristianesimo. Tutte le opere sociali, negli ospedali, negli orfanatrofi e brefotrofi, nelle mense, nell’assistenza ai più poveri, l’istruzione, anche oggi nel terzo mondo, rivolta ai giovani che altrimenti non potrebbero contare su niente… non compare sui testi scolastici e neppure nelle trasmissioni televisive. Si tace così l’opera delle innumerevoli congregazioni e dei loro fondatori; si accenna appena, sempre che si accenni, all’opera di Benedetto e dei suoi monaci che determinarono la rivoluzione economica e culturale in tutta Europa; si tace la vita dei pontefici e dei vescovi santi, ma si costruiscono lungometraggi romanzati sui prelati che si sono compromessi con il mondo: dei primi si riduce tutto a leggenda, dei secondi si cercano le malignità e le cattiverie più diffamanti.
Della dottrina della Chiesa si riportano stupidaggini colossali. Ancora qualche esempio: secondo alcuni le indulgenze cancellerebbero i peccati; secondo altri il dogma dell’immacolata concezione sancirebbe la verginità di Maria; altri attribuiscono al Vescovo di Roma il dogma dell’infallibilità su ogni suo pronunciamento; per altri ancora la riforma del Concilio di Trento si riduce all’inquisizione e all’indice dei libri proibiti… Si consideri che queste sciocchezze sono insegnate dalle cattedre di storia, spesso solo perché gli stessi docenti brancolano nel buio e di storia del cristianesimo non conoscono pressoché nulla.
Le scuole cattoliche non fanno eccezione.

6) Conclusione

Il vecchio catechismo cattolico sintetizzava in poche parole i nostri rapporti con Dio: conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita per goderlo poi nell’altra in paradiso.
Non si può, infatti, amare e servire qualcuno che non si conosce: il primo passaggio è d’obbligo, ed è un compito specifico della Chiesa Docente innanzi tutto, l’interpretazione della Parola di Dio; dei suoi Ministri, dei Ministeri e di tutto il popolo cristiano, la diffusione. I due passaggi successivi invece si rivolgono direttamente all’uomo che può liberamente accogliere, o respingere l’invito alla conversione che la Grazia attraverso la Chiesa propone.
Potrebbe sembrare una successione di azioni che si esauriscono e si completano perfettamente (intendo: conoscere, amare e servire); purtroppo non è così, almeno per i tempi in cui viviamo, anche se moltissimi s’illudono ancora che lo possa essere. Le nuove condizioni storiche che ho appena considerato, in un excursus velocissimo, ci dicono, infatti, che s’impone un’altra tappa necessaria se non indispensabile, che deve precedere le altre tre: la conoscenza della storia del Cristianesimo, almeno a grandi linee.
Ne spiego la ragione: si è assediati fin da bambini da miti laicisti, intrecciati a piaghe nefaste che sollecitano solo in una direzione del tutto mondana e immanente, promettendo felicità, benessere, successo, ricchezza; l’alternativa cristiana è taciuta, o vi si attinge solo per illustrarla in perfetta sintonia con le categorie del secolo, quando cioè pastori e cristiani, dimenticando l’esclusività della Buona Novella, si sono compromessi con il mondo, seguendone i vizi e i difetti; sostanzialmente quando i cristiani, a questo punto solo di nome, hanno tradito la loro vocazione e la loro fede. Si tacciono del tutto invece le esperienze di quei cristiani che sono vissuti da cristiani, secondo l’insegnamento del Vangelo, praticandone magari le virtù in grado eroico e particolarmente si tacciono l’esempio e gli effetti della loro opera, che a volte sa di miracoloso.
Tanto per essere chiari, di seguito conosciamo in che cosa consista il grado eroico:

Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi».(Luca 18,22)

Pietro allora gli disse:«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». ù gli rispose: «In verità vi dico: non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna. (Mar.10,28-30)
Se non si percorre questa prima tappa e se concediamo per certo alle nuove generazioni il “senso comune”, il messaggio cristiano non è assolutamente credibile. Se nell’immaginario collettivo, i giovani, ma non solo, anche gli adulti, ingannati dai silenzi, dalle storture, dalle menzogne di cui ho scritto, entrate nel midollo anche delle persone più istruite, non riescono a cogliere, o non conoscono della Storia, le cause e gli effetti, per distinguere l’albero buono da quello cattivo, tutto il passato cristiano sembrerà una grande bolla di sapone, si presenterà solo come l’oppio dei popoli, il giardino dei privilegi, oppure come l’orto delle leggende e delle favole che possono accompagnare per qualche tempo un bambino, come la storia di Babbo Natale, ma poi, dovendo crescere, si lasciano per adeguarsi al Secolo.
Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? (Rom.10,13-14)
Ecco in che cosa consiste il compito della nuova Scuola Cattolica: non certo costruire una scuola confessionale, o nascondere la verità storica agli alunni, o distribuire un’istruzione di parte, ma aprire gli occhi ai giovani attraverso una formazione veritiera ed equilibrata, dove s’insegna veramente di tutto, il tutto su cui, in un secondo momento, l’uomo, finalmente istruito, potrà compiere delle scelte veramente libere.
…conoscerete la verità e la verità vi farà liberi. (Gio.8,32)
Se un tempo perciò, e molto probabilmente anche oggi, in terre povere d’infrastrutture, la Scuola Cattolica ha avuto un ruolo spiccatamente sociale per garantire istruzione e assistenza a quei bimbi, o adolescenti, o giovani che altrimenti si sarebbero trovati abbandonati, oggi, senza escludere quel ruolo là dove la situazione sociale lo richieda, ha un compito ancora più delicato, specificamente per permettere al Cristianesimo di essere credibile, per aprire il cuore delle nuove generazioni a Cristo, che altrimenti sarebbero trascinate dal senso comune adulterato su sentieri inconsapevolmente ostili.



B)  LA NECESSITA’ DI UNA SCUOLA CATTOLICA



1)La Scuola cattolica di ieri in breve


 Nei tempi passati la scuola cattolica si è messa a servizio del popolo cristiano per una società più giusta, così da assicurare a tutti assistenza e poi competenze, per crescere onestamente  e inserirsi nel mondo del lavoro. Penso ad esempio alle congregazioni di suore che hanno operato nel nostro biellese negli ultimi duecento anni presso gli asili di tutti i paesi, a volte delle frazioni. La loro opera permise alle donne operaie di recarsi ogni giorno al lavoro nelle fabbriche, sicure che i propri figli potessero contare su un’assistenza adeguata.
 L’impegno di altre congregazioni ha strappato i giovani dalle strade, dove potevano perdersi con estrema facilità e ha assicurato loro l’apprendimento di un mestiere per essere uomini liberi, capaci e responsabili, anticipando di secoli quei diritti dell’uomo che sono sanciti dalla nostra Costituzione Italiana e da tante altre costituzioni a fondamento delle leggi di ogni paese civile.
 Altre congregazioni ancora hanno formato la classe direttiva della nazione, impartendo un metodo rigoroso a fondamento dell’opera dei futuri quadri dirigenti. Tutte, mentre formavano l’uomo, il cittadino, il lavoratore, hanno comunicato allo stesso tempo alle nuove generazioni i valori cristiani, particolarmente attraverso il catechismo e con la pratica assidua ai sacramenti e all’eucarestia.
 La società in cui si operava allora però era sostanzialmente cristiana, anche se una certa élite intellettuale poteva avere adottato degli atteggiamenti illuministi, o marxisti, o massonici, o anticlericali, o atei; le vocazioni d’altra parte non mancavano, a ridosso dei santi fondatori e dei loro diretti collaboratori, il cui esempio trascinava tanti giovani a seguire le orme dei maestri per passare da discenti a docenti e offrire gratuitamente l’opera di formazione che gratuitamente avevano ricevuto.
 Anche nella scuola pubblica c’era una presenza massiccia di clero, l’unico spesso a essere culturalmente preparato per l’insegnamento, specialmente nei gradi superiori, ma non mancavano i preti-maestri nelle scuole elementari pubbliche e nelle piccole parrocchie dove mancava, il più delle volte, la scuola gestita dal comune o dallo stato. Il parroco era ovunque un’autorità e nella sua persona, specie nelle campagne, confluiva sia l’autorità della cultura profana che della sacra; a lui si affidavano gli analfabeti per scrivere e leggere, mentre la sua parola difficilmente era messa in discussione.
 A volte i cultori di storie hanno sostenuto la tesi del monopolio culturale della Chiesa; in realtà era padre stato a essere occupato in tutt’altre faccende, piuttosto che pensare all’istruzione del popolo che si preferiva mantenere nell’ignoranza. In Italia poi, con i Patti Lateranensi, i sacerdoti diventarono insegnanti della religione cattolica in tutti gli ordini e gradi di docenza, dalle scuole elementari, alle medie superiori, conducendo addirittura nelle scuole elementari delle ispezioni periodiche sull’insegnamento della religione di stato.


2) La situazione della scuola cattolica oggi

In Italia si alimenta ormai da tempi remoti un atteggiamento ostile alla scuola cattolica, specie da parte di molti docenti della scuola pubblica che però protestano solo ed esclusivamente per ragioni economiche, senza mai aver contrastato le riforme demagogiche degli ultimi cinquant’anni, che hanno ridotto la scuola a un rottame, dove s’impongono formalismi sterili e una burocrazia sempre più asfissiante (a proposito si veda La scuola dei DS). Se la scuola ha ancora garantito qualche risultato apprezzabile, è solo per l’impegno dei singoli docenti, animati da uno spirito paziente, in parte rassegnato, ma anche deciso a garantire tutto quello che si può in certe situazioni.
 L’atteggiamento aprioristicamente ostile contro le sovvenzioni assegnate alla scuola privata, non tiene conto che se tutte le scuole private della nazione dovessero chiudere, si riverserebbe sulle casse dello stato una spesa tanto inattesa quanto insostenibile, privando oltretutto il territorio di certi presidi scolastici e di certi servizi che altrimenti non ci sarebbero proprio del tutto. Di nuovo la cattiva informazione non tiene conto ad esempio che in certi stati europei, come il Belgio e il Regno Unito, la scuola privata supera il 60% dell’offerta totale e che gli insegnanti sono tutti retribuiti dallo stato.
 La scuola privata garantisce inoltre il pluralismo e il confronto. Sarebbe interessante valutare i risultati se entrambe le scuole, la privata e la pubblica, potessero contare sugli stessi mezzi economici: a quel punto chi ora detiene il monopolio, farebbe i conti, nella nuova situazione, con l’utenza, che diventerebbe l’unico giudice naturale sull’effettiva eccellenza di un istituto. Senza contare che una scuola privata non sarebbe portata ad accorpamenti massicci e, sul territorio, specie nei paesi, l’offerta sarebbe certamente distribuita in modo migliore. Purtroppo però il confronto fa paura e in Italia, come per altre tantissime situazioni, anche per la scuola privata, l’informazione corretta lascia molto a desiderare, addirittura sull’argomento si arriva a fare del vero e proprio terrorismo.


3) Le ragioni della crisi della scuola cattolica

- Non c’è dubbio che la Scuola Cattolica, costituita non a fine di lucro, sta registrando una profonda crisi, a volte, in certe diocesi, sembra venir meno. Proviamo a coglierne le ragioni (a volte nascoste tra le pieghe di un quotidiano che apparentemente sembra rientrare nella norma): si tratta certamente della poca considerazione economica che riceve e della scarsità delle vocazioni religiose, ma

 - la scuola cattolica risente soprattutto del senso comune di cui ho già scritto, specie la scuola media inferiore e la superiore: se cioè asilo ed elementari possono anche passare, una volta arrivati alle scuole medie, la più parte dei genitori pensa che il pubblico sia più preparato ma soprattutto all’altezza dei tempi che corrono, più di una scuola cattolica.
Nulla di più errato: le ragioni in parte sono state già colte e valutate.

4) Gli errori della Scuola Cattolica

- La scuola cattolica spesso non è stata una vera alternativa a quella pubblica: è la piaga del secolarismo, della cultura sterile, forse anche del rispetto umano. Gli insegnanti non si sono differenziati per niente, hanno insegnato con le stesse sforbiciate che si registrano nella scuola pubblica; non hanno ricevuto nessuna formazione di cultura cristiana e hanno ripetuto gli stessi errori, uniti alle stesse scelte. Una suora mi rispose, un giorno, che anche in una scuola cattolica, al di fuori delle ore di religione, non si può fare religione, né si può imporre un taglio alla docenza, che per costituzione è libera.
 Il fatto è che qui non si tratta di catechismo, ma di cultura cristiana, contemplata negli stessi programmi ministeriali, e legata fortemente alle materie letterarie, umanistiche, artistiche e storiche. In quarant’anni d’insegnamento, proprio nella scuola pubblica, non ho mai trascurato la cultura cristiana e mai nessun alunno, o genitore, o superiore ha contestato la mia docenza. Non si viola la libertà di nessuno insegnare correttamente il pensiero, la storia, le espressioni letterarie, filosofiche e artistiche del cristianesimo, altrimenti la si violerebbe anche quando si presenta il pensiero di Hegel, o di Cartesio, o di Marx, o di Mazzini, o di Carducci, o… di Maometto. Né si viola la libertà di nessuno a voler presentare il cristianesimo per quello che è stato veramente nella storia, senza reticenze, né tagli, né aberrazioni.
 E’ evidente che, se la scuola cattolica non presenta nulla di alternativo, non si vede la ragione per cui una famiglia debba impegnare del denaro quando quella pubblica è gratuita.

- Gli insegnanti non sono sempre sufficientemente preparati. E’ la piaga della superficialità. Molti sono giovanissimi, gettati in classe senza che nessuno, per quel che ne so, abbia fatto loro da tutore almeno per un anno scolastico, e da tutore non semplicemente formale; e nessuno neppure ha verificato mai la loro preparazione su uno dei nodi fondamentali che dovrebbero fare della scuola cattolica una scuola alternativa. Mi sto ovviamente riferendo alla preparazione sulla cultura cristiana di cui ho già scritto ampiamente.
- La diocesi e le parrocchie sono spesso assenti e gli istituti religiosi estranei tra loro: è la piaga delle botteghe e della diffidenza Non serve a nulla celebrare ogni anno la giornata dell’università cattolica e poi trascurare le nostre scuole che ci stanno sotto casa. A livello diocesano e parrocchiale, i genitori cristiani dovrebbero essere istruiti tutti gli anni sul pericolo cui vanno incontro i figli, a una cultura cioè senza Dio e senza speranza perché adulterata da un sistema di cose incredibilmente ostile. Don Bosco nel XIX secolo si era proposto di difendere i giovani dallo sfruttamento e dall’abbandono del suo tempo, oggi i fanciulli, gli adolescenti e i giovani devono essere difesi da un pericolo ben più grande che potrebbe compromettere lo stesso senso di tutta la loro esistenza. Anche in una prospettiva umana, sappiamo che l’unione fa la forza; il cristiano ha una marcia in più perché sa di appartenere al corpo di Cristo, ognuno con un compito specifico da eseguire.
Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. (1Cor.12,27-28)
Se questa sacrosanta verità non la conoscono i preti e i religiosi, a che pro una scuola cattolica? Come insegnare ai giovani la collaborazione, l’amore, la partecipazione quando dei consacrati non li conoscono?

- E’ estranea la componente del volontariato dei docenti in servizio: è la piaga della sfiducia e ancora quella della diffidenza. Tantissimi insegnanti cattolici certamente sarebbero disposti a offrire gratuitamente qualche ora della loro docenza in una scuola cattolica. Si coglierebbero così tre occasioni in una sola volta: si permetterebbe ai docenti cristiani di mettere a servizio della comunità le loro competenze; si metterebbero in guardia gli stessi docenti da una certa cultura secolarizzata e menzognera, di cui spesso non ci si rende neppure conto, per portare consapevolmente poi una testimonianza di verità nella scuola pubblica; si ridurrebbero i costi di gestione in un bilancio spesso in rosso.

- E’ egualmente estranea la componente del volontariato dei docenti in riposo: è la piaga del giovanismo. Questi docenti invece potrebbero assistere i docenti più giovani nei loro primi anni d’insegnamento, e, a loro volta, offrire un certo numero di ore, sempre a servizio della comunità, secondo le proprie competenze. E’ evidente però che, se la scuola cattolica non è una vera alternativa e non si chiarisce a tutti in che cosa consista quest’alternativa, a docenti, genitori, parroci, alunni, nessuno è disposto a offrire il proprio tempo libero gratuitamente per un servizio di cui non si capisce neppure il senso.

- Si è cercato spesso solo di far sopravvivere l’istituzione come tale: è la piaga degli espedienti e l’hanno tentata moltissimi istituti privati, particolarmente le scuole superiori, quando sono cominciate a scarseggiare le iscrizioni, specie, prima della riforma Gelmini, allorché in Italia si inventarono più di trecento licei. Fu quello un errore delle scuole pubbliche e lo fu delle private che seguirono le sciocchezze delle pubbliche, con la differenza che la scuola pubblica, per quante stupidaggini metta in opera, è sempre protetta dal denaro dello stato, la privata no.

- E’ mancato l’entusiasmo della fede: è la piaga della desolazione, della rassegnazione, degli altri tempi e della sfiducia. Si ragiona con le categorie del Secolo e non si crede più nella Divina Provvidenza.
Badate che nessuno v’inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. (Col.2,8)
Sant’Ignazio diceva: Prega perché tutto dipende da Dio; datti da fare perché tutto dipende da te. Se padre Pio, che le anime più semplici invocano, di fronte alla landa desolata di san Giovanni Rotondo, non ci avesse visto una realizzazione improponibile agli occhi di un miscredente, oggi non sorgerebbe la sua opera. Se Francesco, che va di moda oggi tra il popolo cristiano e il suo clero, non avesse avuto la fiducia di insistere nella sua povertà e di bussare, lui straccione, alla porta principesca di Innocenzo III, oggi non ci sarebbe la storia francescana, di cui molto spesso ci si fregia, baloccandosi con tanto di nome e di cognome, senza esserne assolutamente partecipi nell’essere.
Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini(Mar. 8,33)
Non si congetturi che si voglia qui proporre l’assurdo e l’irrealizzabile:
Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? (Luc.14,28)
 Si vuole solo attingere alla sapienza dei santi, i grandi esempi dimenticati, che la cultura cristiana dovrebbe riscoprire, particolarmente di quelli che hanno fondato le congregazioni che oggi reggono la scuola cattolica: se nel loro progetto avessero dato ascolto a tutti i "se" e i "ma" dei consiglieri funesti, non avrebbero concluso nulla, né la loro opera si sarebbe mai potuta concretizzare in circostanze e in contesti ben peggiori di quelli in cui operiamo noi oggi.
- Si teme la responsabilità in prima persona e, alla più piccola difficoltà, si preferisce scaricarla sugli altri: è la piaga dell’assenza e dell’omissione. L’omissione è un peccato però! Forse il più frequente di cui non si ha neppure consapevolezza, chiusi come ci si trova spesso dentro il proprio egoismo. E’ il peccato gravissimo della nostra classe politica, dei partiti, che hanno sempre pronto il dito per accusare il governo, o l’opposizione, dimenticandosi di essere stati loro stessi governo e opposizione e di non aver portato a termine nulla di meglio. Ma è anche la piaga delle botteghe cattoliche che pensano di non essere mai responsabili in prima persona, sempre attente ai propri interessi immediati e metodicamente assenti a quelli altrui.

5) Per un progetto di Scuola cattolica

La Scuola Cattolica ha già oggi delle qualità e dei servizi che la rendono migliore di qualsiasi altro istituto pubblico, a condizione che non ne abbia imitato le cadute degli ultimi anni, rinunciando alla sua stessa esclusività.

1 ) La Scuola Cattolica ha ancora una dimensione umana, non costretta a certi accentramenti che hanno segnato la scuola pubblica sull’illusione di chissà quali risparmi. Nella scuola privata non si perde l’identità, come nei grandi magazzini; l’alunno è ancora una persona, così gli insegnanti e i capi d’istituto, come dovrebbe essere appunto una grande famiglia. Ne guadagnano i rapporti interpersonali, ci si conosce, gli alunni possono essere aiutati e capiti con maggiore facilità.

2) La Scuola Cattolica si è sempre caratterizzata per il doposcuola, riservato soprattutto agli alunni che registrano delle difficoltà in itinere. Sono l’alternativa al servizio che nella  scuola pubblica è definito con termini differenti e altisonanti, pausa didattica, tutoraggio, Idei… (la piaga dell’astrattismo) interventi per lo più inutili, solo di facciata (per quelli che ho potuto conoscere io), perché saltuari e occasionali. Il doposcuola è invece continuo e segue l’alunno durante tutto l’anno scolastico. E’ evidente che là dove non ci fosse, si dovrebbe introdurlo senza esitare (su questo argomento si veda anche La scuola dei DS).

3) Nella Scuola Cattolica non manca la mensa. E’ un servizio per lo più assente nelle medie superiori della scuola pubblica, dove spesso si costringono gli alunni a otto ore consecutive in classe, senza assicurare un pasto e un’igiene regolari.
4) La Scuola Cattolica è libera dalla morsa asfissiante della burocrazia. Si permette agli insegnanti di insegnare, ai discenti di apprendere senza inutili perdite di tempo tra incontri, scadenze, verbali, riunioni... E’ evidente che ogni organizzazione deve fare i conti con la burocrazia, ma, come per tutto il resto, anche la burocrazia deve essere al servizio dell’uomo e non viceversa.
5) La Scuola Cattolica ha infine la funzione di pedagogia negativa, intesa come spazio protetto da esperienze pericolose e devianti. Non che il cristiano debba vivere sotto una campana di vetro, ma lungo l’età dello sviluppo la pianta deve crescere sana e diritta, in seguito, quando avrà rinforzato radici e fusto, potrà cimentarsi con i pericoli del Secolo, non prima. La situazione scolastica di certi istituti pubblici purtroppo è inadeguata, al linite del decoro e della convenienza: la Scuola Cattolica diventa perciò anche un rifugio, rifugio però che non dovrebbe essere aperto solo agli eletti; di qui la necessità di abbattere i costi di gestione (ne scriverò in seguito) affinché al “rifugio” cristiano possano accedere tutti.

La Scuola Cattolica ha perso però molti appuntamenti da cui anche è dipesa la sua crisi: si deve cambiare, non solo per sopravvivere, ma per offrire un reale servizio alla cultura e alla comunità cristiana.

Tutti i suoi docenti devono essere preparati a un nuovo modo di “fare cultura”, non più dipendenti e sottomessi al Secolo, non più dipendenti dai suoi idoli, dai miti, dai silenzi, dalle storture storiche.
I docenti giovani devono essere seguiti per un minimo di due anni da un docente con almeno dieci anni di servizio. Il tutoraggio non deve essere solamente un formalismo astratto: mai buttare un neolaureato in una classe senza una guida adeguata.
Tutte le famiglie, attraverso le parrocchie, devono essere informate sulla possibilità di un’istruzione cristiana alternativa, ma soprattutto in che cosa consista il cuore di questa possibilità, altrimenti si cade nella piaga della indifferenza o del buonismo se si pensa addirittura che la cultura del Secolo non sia un vero pericolo.
Il progetto di una cultura alternativa al Secolo deve essere realizzata in collaborazione con tutte le componenti cristiane: congregazioni, parrocchie, diocesi. La politica scandalosa delle botteghe deve cessare.
Devono essere recuperate tutte le forze cristiane disponibili per abbattere i costi di gestione, dai giovani ai vecchi; per la docenza, la mensa, le pulizie, la segreteria, la presidenza.
La Scuola Cattolica deve offrire l’intera filiera, dall’asilo alla scuola superiore: la scuola materna da sola non basta, neppure unita all’elementare. Sono sufficienti pochi mesi di una certa scuola pubblica che si vanifica il lavoro di sei, sette, otto anni. A questo punto conviene neppure iniziare.
Per assicurare la filiera completa di cui ho scritto, è necessario aprire e sostenere scuole materne ed elementari cattoliche nei paesi con una popolazione di almeno 3000/4000 anime, per poi completarla nei centri più popolosi. Difficilmente, infatti, una famiglia iscrive i propri figli a una scuola superiore cattolica, se i figli non hanno già un percorso simile alle spalle; si tende piuttosto al contrario.
Per realizzare un progetto di questa portata, è necessario recuperare gli immobili abbandonati e dati in affitto, ricordandosi che l’intenzione di chi ebbe a fare quelle donazioni non era di certo alimentare una Chiesa manager, la piaga del manageriato appunto. I Santi, dei beni immobili se ne sono serviti, quelli inutilizzabili li hanno venduti.
E’ necessaria un’ora in più, o sostenuta dall’insegnante di storia, o di religione, da aggiungere al curriculum: un’ora di Storia del Cristianesimo, per le ragioni su cui ho già ampiamente riflettuto.
Si deve aprire il doposcuola, forze permettendo, ai possibili alunni esterni per sostenere i ragazzi in difficoltà e far conoscere l’alternativa cristiana, che deve essere però veramente un’alternativa reale, non solo apparente.
Infine è necessario adottare la chiave che apre tutte le porte: la preghiera, innanzi tutto, fede, speranza e carità, in seconda battuta, e poi ancora, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza… Ma i cristiani, preti e religiosi/e compresi, credono ancora nelle virtù teologali e in quelle cardinali? Non mi sembra proprio e… se ne vedono le conseguenze. Sono queste le categorie cristiane che non hanno nulla a che vedere con il Secolo che viaggia su sentieri diametralmente opposti: la fede e la speranza sono, infatti, tutte rivolte agli idoli; leggerezza, impulsività, arbitrio, debolezza, sregolatezza ricorrono correntemente nei rapporti interpersonali.
La resa dei conti è alle porte, non si può rimandare oltre. Sanandi studium urget nos costanter, c’è scritto sulla facciata del vecchio ospedale di Biella; un’esortazione che non si rivolge solo al corpo, ma soprattutto allo spirito. La preghiera da sola però è riservata a chi è ammalato, immobilizzato, privo di forze… neppure nelle congregazioni di clausura ci si limita a pregare: Ora et labora!. –ammoniva il Santo cui è stata affidata oggi l’Europa materialista. E a proposito di Santi: quando la congregazione è stata loro stretta perché appesantita dagli orpelli del tempo e del Secolo, e impediva, o anche solo limitava apostolato, missione, testimonianza, predicazione, i Santi spesso se ne sono andati e hanno ricominciato da capo perché…

…nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo fa scoppiare gli otri, il vino si spande, e gli otri vanno perduti. (Luc.5,37)



C) LE PIAGHE DELLA CHIESA



Premessa

La degenerazione sociale di cui tutto l’Occidente soffre, è ricaduta perciò anche sulla Chiesa che vive una crisi che era stata già prevista però negli anni ’60 dello scorso secolo da Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI, docente allora di Dogmatica e Vice Rettore dell’Università di Ratisbona. Ne troviamo le parole profetiche in una sua lettera del 1969:
dalla crisi di oggi nascerà domani una Chiesa che avrà perso molto. Sarà una Chiesa piccola e dovrà ricominciare tutto da capo. Non potrà più abitare gli edifici che ha costruito nei tempi di prosperità. Perderà dei fedeli e, con essi, anche tanti privilegi che aveva acquistato nella società…
Il futuro pontefice conclude con parole di speranza in una Chiesa rinnovata e purificata che ha ritrovato i valori essenziali delle origini:
…Sarà una Chiesa ripartita in piccoli Gruppi, Movimenti e minoritaria che metterà la Fede al centro della sua esperienza… Diventerà una Chiesa povera, una Chiesa dei piccoli… Allora la gente vedrà in questo piccolo gregge qualcosa di totalmente nuovo: lo scoprirà come un’esperienza per se stessa, come la risposta che aveva ricercato da sempre nel segreto del proprio cuore.
Mi chiedo però perché si debba necessariamente toccare il fondo del barile per accorgersi di certi errori che sono tanto gravi quanto evidenti, perché non si possa porre rimedio in tempo, almeno parzialmente, almeno provvisoriamente, almeno cercando di conservare qualche isola felice. Aristotele riteneva nella sua Etica Nicomachea che chi sbaglia lo fa per ignoranza, se si fosse consapevoli dell’errore, certamente si sceglierebbe il bene e non il male. Anche se non condivido in toto questa convinzione assai ottimista sulla bontà dell’essere umano nella sua onestà intellettuale, sono certo però che prendere coscienza dell’errore è già un buon inizio, specie se il soggetto si definisce cristiano, un titolo che dovrebbe garantire almeno un po’ di coscienza, sebbene sia anche convinto, su tante mie esperienze, che spesso all’essere umano manca sia l’onestà intellettuale sia la coscienza.
 Comunque voglio provare egualmente a definire gli errori che, secondo me, hanno portato la Chiesa alla crisi istituzionale odierna, a una partecipazione bassissima di fedeli, fino al 25/10%, a una crisi di vocazioni che ha ridotto al lumicino congregazioni storiche e gloriose e ha costretto alla chiusura seminari e noviziati, alla desertificazione di intere parrocchie, sprovviste oltretutto di parroco, alla desolazione di chiese vuote e abbandonate.

E’ semplice chiedere perdono degli errori passati, errori commessi da altri, errori lontani nel tempo, certi errori che forse poi non sono stati neppure errori, se solo si riuscisse a contestualizzare un poco negli eventi storici, o gli errori che sono conseguiti da ingiustificate ingerenze politiche estranee alla realtà ecclesiale, o sono stati l’effetto di conoscenze filosofiche e scientifiche errate del tempo in cui si è trovata a operare la Chiesa…
Se lo sguardo d’altra parte si rivolge alla Chiesa contemporanea, siamo distratti dagli pseudo problemi della pedofilia, della presunta ricchezza generalizzata del clero, dell’interferenza delle alte sfere ecclesiastiche, congetturata dal senso collettivo, negli affari di politica interna, su dei luoghi comuni che solo gli ignoranti possono ancora percorrere. Tutto questo distoglie l’attenzione dalle piaghe vere di cui soffre la Chiesa, alto e basso clero soprattutto, ma anche le comunità dei fedeli a effetto di un’accidia pastorale generalizzata che coinvolge tutto il popolo cristiano:
Fu così che, quando scesero dalla barca, la solita enorme folla li stava aspettando. Gesù ebbe compassione di loro, perché sembravano pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose che dovevano sapere (Mar.6,34).
Senza generalizzare, riconosciamo l’opera di tanti pastori attenti alle necessità del loro gregge, ma… sono troppi gli esempi che ci convincono di una realtà del tutto differente ed estranea allo Spirito evangelico. Oggi, infatti, scandali isolati fanno da padroni, cavalcati da un’informazione in cerca del sensazionale, e polarizzano l’attenzione della gente, passando, allo stesso tempo, sotto silenzio le piaghe vere, quelle che lo spirito del mondo non riesce neppure a riconoscere, proprio perché appartengono al mondo e sono del mondo in una Chiesa che si è sottilmente mondanizzata.

1) La piaga delle botteghe
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!
Informandomi un giorno sulla realtà scolastica cattolica di una città piemontese (non era Biella) presso un istituto di religiose dedite all’insegnamento, mi sentii rispondere da una suora:
E io che ne so di quello che fanno gli altri istituti!

Parrocchie, istituti religiosi, curia, gruppi e associazioni gestiscono spesso una propria bottega indifferente all’opera delle altre, se non in aperta competizione: Non si fa Chiesa, non si fa popolo di Dio.
E’ vero che:
In un solo corpo ci sono molte parti, ma non tutte hanno la stessa funzione. (Rom.12,4)

E’ pur vero però che:

Non importa quanti siamo, tutti noi mangiamo quell'unico pane, e con quest'atto dimostriamo che siamo tutti parte di un solo corpo, quello di Cristo. (1Cor.10,17)

Segue di necessità l’invito all’amore:

Amatevi a vicenda con tutto il cuore, perché, ubbidendo alla verità, la vostra anima è stata purificata dall'egoismo e dall'odio, e così ora potete amarvi sinceramente come fratelli. (1Ptr.1,22)
…perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. (Gio.17,21)
…rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti. fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso, cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri. (Fil.2,2-4)
Noi sappiamo che siamo da Dio, mentre tutto il mondo giace sotto il potere del maligno. (1Gio.5,19)
E prima di amare i Vatussi o i Pigmei, prima di amare gli immigrati o gli zingari, prima di amare gli islamici o i figli del Budda, l’amore deve raggiungere i fratelli in Cristo, altrimenti il primo è solo una moda tutta legata alle pieghe interessate di questo sistema di cose.
 In fondo non è una novità sotto un profilo strettamente organizzativo: già Menenio Agrippa, duemila e cinquecento anni fa, ricordava ai plebei come tutto il popolo romano facesse parte di un solo corpo e come tutti gli organi di quel corpo concorressero alla vita e alla salute dell’organismo intero; che se anche un solo organo si fosse ribellato all’armonia prestabilita, o solo ne fosse stato indifferente, tutti, compreso l’organo ribelle, ne avrebbero sofferto. Nella prospettiva cristiana l’apologo strettamente utilitarista e pragmatico del console romano si carica di una nuova valenza, quella dell’amore, inteso come agape e donazione totale di sé.
 Sembra però che le molteplici realtà ecclesiali si siano dimenticate del Corpo cui appartengono, si siano dimenticate dell’agape ridotto a un vago filantropismo di maniera, si siano dimenticate soprattutto dell’obiettivo cui tutti i cristiani dovrebbero tendere per realizzare il Regno di Dio che è già tra noi:
Ma se io caccio i demoni con l'aiuto di Dio, allora vuol dire che il Regno di Dio è arrivato fino a voi. (Lc.11,20)
E se il Regno è già tra noi, una ragione di più perché:
Se farete in modo che il Regno di Dio sia il vostro primo interesse, Dio vi darà tutto il resto. (Lc.12,31)
Evidentemente alla Città terrena non interessa questa piaga, non la riconosce, perché è un suo attributo intrinseco, lei, la Città terrena, fatta appunto di botteghe, le botteghe dei partiti, le botteghe delle banche, le botteghe delle super potenze, le botteghe dei grandi magazzini… E, se anche la riconoscesse, ben vengano: le botteghe dividono e su chi è diviso si può tiranneggiare meglio.
 D’altra parte la divisione è un attributo proprio
del Diavolo (=Διάβολος, diábolos,"colui che divide"), e il Diavolo è il Padrone della Città terrena cui si adeguano le botteghe ecclesiali di quella Città che invece dovrebbe essere celeste: è ancora e sempre però questione di Amore (=agape):
L'amore di sé portato fino al disprezzo di Dio genera la città terrena; l'amore di Dio portato fino al disprezzo di sé genera la città celeste. Quella aspira alla gloria degli uomini, questa mette al di sopra di tutto la gloria di Dio. [...] I cittadini della città terrena son dominati da una stolta cupidigia di predominio che li induce a soggiogare gli altri; i cittadini della città celeste si offrono l'uno all'altro in servizio con spirito di carità. (Agostino, La città di Dio, XIV, 28)
 Aprirsi agli altri nell’amore e non fare bottega non si esaurisce però nelle solite tavole rotonde, ovali, quadrate e bislunghe, o negli assemblearismi di maniera che cercano bene o male di copiare il mito laicista della democrazia di facciata, gli assemblearismi dove tutto inizia e dove tutto finisce appunto: è l’atteggiamento che deve cambiare, l’intenzione, il cuore, in una collaborazione reale, specie quando si "lavora" nello stesso settore, specie quando si lavora a fianco a fianco, senza essere eccessivamente invadenti, senza voler consciamente o no dominare su gli altri nella loro vocazione specifica, e pretendere che i fratelli appunto siano e operino a propria immagine e somiglianza.
2) La piaga del secolarismo e del compromesso
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!
Ho imparato a riflettere sulla Parola di Dio con i Testimoni di Geova con i quali m’incontro, ormai da vent’anni, ogni settimana, per alcune ore. In un primo momento gli incontri erano più che altro degli scontri; ora, consapevoli loro che non potrei mai convertirmi alla loro dottrina, secondo me, priva nelle sue parti essenziali, di un fondamento biblico e apostolico, le riflessioni si sono fatte meno polemiche e là dove sappiamo, io e loro, di possedere principi differenti, sorvoliamo lo scoglio per concentrarci più su ciò che unisce che su quello che ci divide per una riflessione serena.
Nessun cattolico, nessun sacerdote, nessun religioso ha bussato mai alla mia porta per portarmi la Parola di Dio; e nessuno ha mai fatto riferimento alla Bibbia al momento di affrontare una nuova impresa, un nuovo apostolato, un nuovo servizio.
 Spesso perciò mi sono chiesto la ragione che spinge gli stessi pastori a decidere su questioni gravi ed essenziali utilizzando solo (è importante considerare il "solo") una sapienza del tutto umana: si valutano soprattutto le condizioni economiche, gli interessi immediati di chi si deve esporre, il giudizio del mondo, le risonanze sui mas media, le opportunità di successo…
E la Parola di Dio?.. Ci si ricorda ancora che c’è una Parola di Dio per i Cristiani a guida e a conferma delle decisioni più impegnative? E, unita alla Parola, c’è la preghiera; e unita alla Parola e alla preghiera, c’è una Tradizione secolare illuminata dallo Spirito Santo e illustrata dall’esempio dei Santi? Se i Santi fossero stati guidati solo dal "buon senso" di questo mondo, dalle sue condizioni di opportunità sociale, dal giudizio della gente, o dalle probabilità di successo, certamente non sarebbero diventati santi e le loro opere non avrebbero neppure avuto un inizio. La sfida della buona Novella, infatti, non è in sintonia con le categorie di questo mondo; il "buon senso" di Cristo non ha nulla a che fare con il "buon senso" del Secolo, anzi:
…la saggezza di questo mondo è pazzia agli occhi di Dio. Come si legge nel libro di Giobbe: "Dio fa cadere i saggi nella trappola della loro sapienza". (1Cor.3,19)
 E’ evidente che dovendo operare in questo mondo, non se ne possono ignorare le leggi che però devono decadere a semplici strumenti; gli obiettivi per la Chiesa sono altri e non può essere condizionata esclusivamente dagli strumenti come spesso accade, in una confusione di ruoli essenziali, dove soprattutto gli strumenti economici fanno da spartiacque assoluto.
Guardate gli uccelli! Non si preoccupano del cibo. Non seminano, non mietono, né fanno provviste, perché il Padre vostro che è in cielo li nutre. E voi siete di gran lunga più importanti degli uccelli per lui!
(Mat.6,26)
 Opere ciclopiche, inimmaginabili, improponibili sono nate dal nulla, dalle mani di frati poveri e di preti poveri, di donne apparentemente insignificanti, ma che hanno tutti creduto e si sono affidati alla divina Provvidenza: senza assicurazione, senza garanzie, senza prebende sicure, senza la complicità dei potenti, anzi spesso contro corrente, perseguitati dagli stessi superiori, colpiti dalla stessa gerarchia, invidiati, sospettati, calunniati…
Per questo sono contento nelle infermità, negli insulti, nelle privazioni, nelle persecuzioni e nelle difficoltà; perché quando sono debole, allora sono forte; meno possiedo e più dipendo da lui. (2Cor.12,10)
Quando invece ci si sente forti, allora si è nell’anticamera del fallimento…
Quindi, chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere. (1Cor.10,12)
…specie se ci si attribuisce il merito del successo, un merito che invece spetta solo a Lui: la superbia conduce al peccato d’origine, all’illusione che il tralcio possa vivere senza la vite, che, anche se lo potesse, condurrebbe una vita del tutto pagana che si regge per forza d’inerzia come tutte le cose di questo mondo, priva, infatti, dello Spirito (sine tuo numine nihil est in homine, nihil est inoxium).
Nel Liceo dove insegnavo, il docente di religione organizzava metodicamente ogni anno Halloween; aveva traghettato Pasqua nella festa di Primavera; e Natale era diventato festa degli Auguri; insomma si era ritornati a Odino, ai Druidi e ai Vichinghi.
 Le nostre processioni sono sempre più brevi e nascoste, per… non disturbare, o turbare i cittadini che non hanno la stessa fede, e col tempo sono state sostituite dalle marce laiche… limitiamoci a scrivere “marce”, poi qualsiasi attributo le può accompagnare.
 Il sacro si nasconde, come si nascondono i segni visibili di ogni sacralità: a volte pare che dal Concilio Vaticano II (un grande concilio!) molti ministri del culto abbiano adottato con entusiasmo solo il clergyman, se non il totale anonimato. Per i paesi della Valle si vedono per le strade i preti islamici, i nostri preti si sono imboscati o mimetizzati, dietro una minuscola crocetta… quando c’è.
 E i cristiani? Quando va bene, tacciono, altrimenti passano sull’altra sponda.
 Nell’anticamera di un dottore un giorno per caso ebbi l’occasione di assistere a un colloquio tra signore, già nonne ma ancora molto giovanili, cui si erano uniti altri presenti. Discutevano sui figli: il figlio della prima era divorziato, della seconda era in procinto di separarsi; e il confronto si presentava all’incirca così:
E i nipoti?
I figli sono con la mamma e il papà li va a prendere tre volte il mese, la fine settimana. Certo la bambina ci ha sofferto molto; ora è seguita dallo psicologo.
Anche mia nipote – continuò l’altra – dovrà dividersi tra la madre e mio figlio: è una brutta vita un po’ per tutti, ma d’altra parte che cosa si può fare?..
Niente si può fare! – riprese la prima – sono cose delicate e non si può interferire.
Certo, ognuno è responsabile della propria famiglia! – fecero in coro i presenti.
Sono passati certi tempi, ora si ragiona così!
Ed è meglio tacere!..
Non riuscii più a trattenermi come il solito:
Che ognuno sia responsabile della propria famiglia, non c’è dubbio – dissi con molto garbo - ma i nonni hanno il dovere di richiamare i figli alle proprie responsabilità specie quando ci sono dei bambini che soffrono e sono costretti a servirsi già degli psicologi. Il matrimonio non comporta solo dei diritti ma anche dei doveri. Non basta solo diventare padri e madri, bisogna anche esserlo!
Il gelo seguì alle mie parole. I presenti si guardarono e il discorso scivolò su altri argomenti di scarsa importanza. Non mi pentii di essere intervenuto, come non mi pento di scrivere queste pagine, perché anche su questo argomento la Parola è chiara, ci viene in aiuto e non ammette i compromessi del secolo:
…le donne anziane si comportino in maniera degna dei credenti… sappiano piuttosto insegnare il bene, per formare le giovani all'amore del marito e dei figli, a essere prudenti, caste, dedite alla famiglia, buone, sottomesse ai propri mariti, perché la parola di Dio non debba diventare oggetto di biasimo. (Tito2,3-5)
Il secolarismo dà tutto per scontato: non si può fare altrimenti. Il secolarismo giustifica se stesso: se tutti fanno così, non c’è alternativa; e troppi pastori, assieme alle pecore affidate a loro, seguono il Secolo, dimenticando l’alternativa a questo sistema di cose che è la Buona Novella di Cristo, l’unica alternativa che si può scorgere all’orizzonte.
Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. (Rom. 12,2)

3) La piaga degli espedienti

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

E’ una piaga che consegue direttamente da quella del secolarismo quando, nella predicazione della Parola, o nella sua realizzazione, si provano tutti i sistemi più bislacchi, conformandosi al Secolo, come se la Parola avesse bisogno degli espedienti di questo mondo per attecchire, o anche solo per essere credibile. La Parola ha solo bisogno dell’esempio e delle opere di coloro che la predicano, che altrimenti sarebbero di scandalo; per il resto, ipotizzare anche solo che la Buona Novella richieda gli artifici umani, è una grave mancanza di fede.
 Gesù e i Santi sanavano gli ammalati, fortificavano gli spiriti, istruivano gli ignoranti, consolavano i disperati, cacciavano i demoni, sollevavano i poveri: questi sono gli esempi che seguono, o accompagnano la proclamazione della Parola, tutto il resto può essere un contorno piacevole ma assolutamente non necessario. Se poi la cornice diventa la sostanza nel ruolo e nei tempi, allora aspettiamoci pure il successo immediato, un successo però che, come i fuochi fatui, durerà quanto quello di una canzone, rispolverato magari poi dall’armadio del passato, di tanto in tanto, per nostalgia, per erudizione, per fare una certa storia… ma non lascerà né traccia né solco nei cuori.
 L’espediente è momentaneo, evanescente e inconcludente come tante bollicine di sapone che si gonfiano, scoppiano e svaniscono nell’aria in un’esplosione multiforme di colori spumeggianti, per finire là dove inizia; la Parola di Dio invece è eterna e si regge da sola.
 Quando perciò si vedono le capriole rocambolesche che, ad esempio, certi insegnanti di religione s’ingegnano a organizzare su lungometraggi insignificanti, o certe discussioni artificiose, tutte rivolte a introdurre due righe di Bibbia, si percepisce dolorosamente quanta poca fiducia si abbia sulla forza dirompente della Parola di Dio.
 Quando si pensa di fare “oratorio” con un mese di “estate ragazzi”, tra piscine, parchi avventura, passeggiate e incontri ludici, allora si evidenzia a quali accorgimenti ci si affida per racimolare giovani che, il mese dopo, approdano ad altri passatempi, in giro per il mondo, senza neppure accorgersi di aver cambiato piazza.
 Quando le ricorrenze liturgiche si affastellano di gite, di pranzi e di cene, di giochi e di gare che prendono il sopravvento sulla ragione liturgica primaria, allora si affoga nel secolarismo, come quando a Natale si ricordano solo il panettone e i regali; se pranzi, cene, giochi e gare si cercano di proposito per “attirare” i fedeli, allora stiamo vivendo di nuovo sulla piaga degli espedienti nell’illusione che degli espedienti abbia bisogno la Parola.
 Non si vuole né pensare da puritani, né negare la componente umana, ma, viste certe esperienze, attenzione che il contorno non diventi l’asse portante di tutto lo sforzo pastorale e sul contorno si esaurisca ogni slancio di rinnovamento.


4) La piaga della cultura sterile

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Già in ambito strettamente profano, spesso ci si perde su un’erudizione inutile a se stessi e agli altri, priva di metodo, vuota di valori, costruita sul niente o su parole e ragionamenti infondati e deboli come l’inconsistenza della sabbia. Nei salotti televisivi ci si confronta, si dibatte, a volte si litiga sul nulla assoluto e, alla fine, tutto rimane come prima: si è dato un po’ di spettacolo, si è riempito il palinsesto, si è sostenuta la pubblicità, lo scopo reale di quasi tutte le trasmissioni. Sono spesso salotti da cui il genio di Leopardi si allontanerebbe inorridito e deluso perché animati solo dalla triste vanità di apparire; ma anche quando non fosse così, del tutto estranei allo spirito manzoniano e, ancora prima, a quello illuminista, animati entrambi dal servizio per istruire e educare la gente.
 D’altra parte già un filosofo pagano come Platone aveva perfettamente capito che la sapienza non è una pietra preziosa da conservare gelosamente in uno scrigno: il filosofo, dopo esserne entrato in possesso, ha il dovere di ritornare sui suoi passi per renderne partecipi i suoi concittadini. Allora si disquisiva limitatamente a una sapienza umana!
Se passiamo a un’altra sapienza che si regge sulla rivelazione della Parola, o sulla Chiesa voluta da Cristo, là dove si svela l’opera instancabile dello Spirito Santo, accolto e assecondato da uomini di fede, a maggiore ragione la nuova Sapienza si deve mettere a servizio dei fratelli e soprattutto di chi vive ancora in una condizione di paganesimo di fatto, anche se battezzato.
In ambito ecclesiale non si contano le specializzazioni in teologia, in biblistica, in diritto canonico, in liturgia, in pastorale… Il popolo cristiano però in che misura beneficia di questi sforzi intellettuali?.. Quella cultura è posta a servizio di chi crede, o è semplicemente una sapienza umana utile solo a… fare carriera?
Non si dovrebbe mai dimenticare che ai pastori è stato affidato il compito della predicazione, che ovviamente non si riduce all’omelia domenicale, mentre si costata tristemente che i cristiani non conoscono né la Parola rivelata, né l’organizzazione, né la storia della propria Chiesa.
 Questo è un argomento molto complesso che in parte ho già affrontato in La scuola dei DS; potrebbe essere riassunto così: oggi i nostri giovani (che poi diventano adulti e vecchi) sono stati sviati dalla verità storica in una scuola di stato che spezza un pane avariato e adulterato. La scuola cattolica per lo più non fa di meglio, anche perché i docenti, hanno avuto un’istruzione deviata di cui non si rendono neppure conto. Gli uomini di chiesa preparati culturalmente devono affrontare questo problema, altrimenti a che cosa serve la loro cultura? Catechisti, insegnanti di scuola cattolica e insegnanti cristiani di scuola pubblica, giovani e vecchi ma anche preti, dovrebbero conoscere finalmente la verità.
 Se, infatti, il senso comune parte dal presupposto che la storia del cristianesimo sia solo ed esclusivamente una storia di soprusi, guerre, inquisizione, corruzione e nepotismo, con che animo ci si può accostare al messaggio di Cristo? Una barriera fatta di pregiudizi s’interpone, infatti, tra la gente e Cristo. Se una volta perciò il catechismo affermava che bisognava conoscere Dio per poi poterlo amare e servire, nelle condizioni di oggi, come ho già scritto, è necessaria una tappa anteriore che possa introdurre alle tre successive ed è appunto la conoscenza della storia del Cristianesimo in tutte le sue espressioni. Si passerà poi con un altro animo e con un altro spirito alla Parola, consapevoli che non è una bella favola da proporre agli ingenui. In entrambi i momenti, la preparazione culturale specialistica può essere di grande aiuto, altrimenti tutti quegli studi, non messi al servizio del popolo di Dio, sono vani e inutili; decadono a sapienza umana sterile perché fossilizzata e ammuffita dalla pressoché totale inattività.

5) La piaga del giovanismo
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

E’ una piaga che consegue direttamente dal secolarismo del XX/XXI secolo. Ora tutti, infatti, puntano sui giovani: la pubblicità punta sui giovani, i consumatori di oggi e di domani; la moda punta sui giovani, e un prodotto “giovane” giustifica anche il cattivo gusto; la politica punta sui giovani e… i bulletti siedono sugli scanni riservati ai senatori (=seniores, i “più vecchi”).
Pure la Chiesa vuole essere “giovane”: raduna in massa i giovani, predica ai giovani, sorride ai giovani, assegna titoli e ruoli istituzionali, tradizionalmente riservati a sacerdoti meritevoli, maturi e molto equilibrati, a trentenni/quarantenni discutibilmente assennati (non perché indegni, ma semplicemente perché sprovvisti della prudenza e dell’esperienza che è propria innanzitutto dei Santi, e poi dell’uomo che ha conseguito una lunga esperienza negli anni), e… trascura allo stesso tempo la terza età, o gli anziani (a meno che siano degli ammalati), o anche solo chi non è più del tutto giovane.
La Chiesa si dimentica che le prime comunità cristiane furono rette proprio dagli Anziani, così come gli Anziani avevano un ruolo di guida spirituale nelle sinagoghe ebraiche. E ancora oggi la più parte delle parrocchie hanno parroci anziani, le sedi vescovili, vescovi anziani, il soglio pontificio un papa anziano, fino a toccare senza esagerare gli ottanta e i novant’anni.
Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore.(Lev.19,32)
 Su questa linea, un potenziale enorme di forze cristiane non necessariamente consacrate, è trascurato, un potenziale che in parecchi casi non aspetterebbe altro che essere valorizzato, sentirsi ancora utile, mettere a servizio della comunità la propria esperienza, non come ruota di scorta ma a pieno titolo e in prima linea. Senza trascurare i giovani evidentemente, ognuno nel proprio ruolo, in un rapporto costruttivo di complementarietà, la Chiesa crescerebbe in grazia e salute.
Vanto dei giovani è la loro forza, ornamento dei vecchi è la canizie. (Pro.20,29)
Ventenne e poi trentenne ebbi la gioia di guidare tre gruppi missionari a supporto delle Missioni di Capo Verde. Ogni età vi partecipava nella misura in cui poteva, ma erano proprio i sessantenni e i settantenni assieme a qualche ottantenne a essere il nerbo, la macchina trainante, la forza centripeta di ogni iniziativa; ed era cosa più che evidente come lo sarebbe anche ora in tante attività ecclesiali, per la semplice ragione che i giovani, a meno di votarsi al servizio esclusivo fino alla consacrazione, hanno a buon diritto altri impegni da cui sono coinvolti e che spesso non lasciano neppure un briciolo di spazio ad altro: lo studio, la ricerca di un lavoro e il lavoro stesso quando lo si è trovato, la famiglia, i figli… nella frenesia unita alla congestione della società attuale.
 Eppure a tanti preti vecchi non piacciono i vecchi, preferiscono circondarsi di giovani, forse… per illudersi di esserlo ancora, o semplicemente perché la società ha contagiato con i suoi miti e i suoi parametri di giudizio molti uomini di chiesa che hanno dimenticato che la giovinezza della fede non sta negli anni ma nello spirito; che l’intelletto e la prudenza dovrebbero (ho scritto “dovrebbero”) essere le doti dei “vecchi”; che l’esperienza difficilmente può essere l’attributo di un’età giovane.
 Nell’esperienza d’insegnante mi rivolgo spesso agli anni passati e inorridisco di fronte agli errori commessi nei primi anni della mia docenza, condizionato com’ero anche dai metodi dei miei educatori. Ma non solo, percepisco con estrema chiarezza come nella prospettiva di allora, comunicatami da un complesso giro di circostanze, io fui docente di tanto fumo senza l’arrosto, di apparenze preconfezionate, di una routine estranea alla conoscenza vera e alla cultura che si fregia a buon diritto di questo nome. Solo con gli anni, l’esperienza e la riflessione mi aprirono l’ingresso a una nuova prospettiva, provvista di occhiali nuovi, gli occhiali non solo della ragione ma anche dell’intelletto; ce ne volle però di tempo!

…la giovinezza e l'aurora sono vanità. (Ec.12,2)

E sulla vanità della giovinezza, come della bellezza, o del successo, o della ricchezza, c’è il pericolo di perdersi. Non vuol dire con questo che si debba disprezzare la giovinezza, o non tenere conto del ruolo dei giovani nella vita ecclesiale:
Nessuno disprezzi la tua giovane età; ma sii di esempio ai credenti, nel parlare, nel comportamento, nell'amore, nella fede, nella purezza. (1Tim.4,12)
 Vuol dire piuttosto che nei Testi Sacri i ruoli non dipendono dall’età, né dal censo, né dai natali ma dai carismi:
Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.  a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune: uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza;  uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito;  uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue.  tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. (1Cor12, 4-11)
 A Paolo fa eco la Populorum Progressio al 15/16:
Fin dalla nascita, è dato a tutti in germe un insieme di attitudini e di qualità da far fruttificare… Tale crescita non è d’altronde facoltativa. Come… la creatura spirituale è tenuta a orientare spontaneamente la sua vita a Dio, verità prima e supremo bene, così la crescita umana costituisce come una sintesi dei nostri doveri. Ma c’è di più: tale armonia di natura, arricchita dal lavoro personale e responsabile… l’uomo accede a una dimensione nuova, a un umanesimo trascendente, che gli conferisce la sua più grande pienezza: questa è la finalità suprema dello sviluppo personale.
Se queste parole sono rilevanti in un contesto sociale strettamente umano, quanto valore hanno  quando il lavoro, qualsiasi esso sia, è al servizio diretto e gratuito della comunità cristiana! Servizio liturgico, servizio ai poveri, agli ammalati, agli anziani, alle missioni, servizio nella buona stampa, nell’annuncio della Parola… e naturalmente servizio nella Scuola Cattolica.
 Chi non lo permette o lo ostacola disobbedisce allo Spirito vivificatore e distoglie i fratelli dalla via del Bene: attenzione! E’ una grande responsabilità davanti a Dio e agli uomini per le gravi conseguenze dirette e indirette, spesso impensabili, che certe posizioni possono implicare.
Concludo ricordando la preghiera del salmista:
E ora che sono giunto alla vecchiaia e alla canizie, o Dio, non abbandonarmi, finché non abbia raccontato i prodigi del tuo braccio a questa generazione la tua potenza a quelli che verranno. (Sal.71,18)
 A cui Yahweh per bocca di Isaia risponde così:
Fino alla vostra vecchiaia io sono, fino alla vostra canizie io vi porterò; io vi ho fatti, e io vi sosterrò; sì, vi porterò e vi salverò. (Is.46,4)

6) La piaga della diffidenza

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

In giro per la mia terra, tra fabbriche chiuse e paesi fantasmi, si possono trovare anche chiese  cadenti e case parrocchiali fatiscenti, destinate all’abbandono, o già abbandonate: è la documentazione più triste della diffidenza che una consistente parte del clero nutre per i laici, sempre restia ad affidarsi nella gestione secolare dei beni della Chiesa al popolo cristiano. Eppure là dove si ha avuto il coraggio di concedere un po’ di fiducia, le opere sono fiorite.
 E’ bello, è consolante, è oltretutto doveroso per non commerciare solo della teoria, proporre degli esempi. In una parrocchietta del biellese, Callabiana, (quando le prove sono edificanti, si possono ricordare con nome, cognome e soprannome; si tacciano le altre!), alla morte dell’ultimo parroco, la donna che lo accudiva ha continuato la sua opera, anche e soprattutto perché le è stato permesso, e quella chiesa, fino a pochi mesi fa, si è presentata sempre come un piccolo giardino fiorito, pulita, linda, aperta, custodita, viva; sì, una presenza viva di fede, di amore, di costanza, di fedeltà, cui la signorina Adriana rimase fedele, lei ultraottantenne, fino alla morte. Si noti però la cosa più importante: una chiesa aperta in un paesino con una popolazione di centocinquanta anime; là dove, in certe parrocchie di migliaia di fedeli non solo le chiese minori ma anche la parrocchiale sono perennemente chiuse.
 E’ vero che oggi è difficile fidarsi di chi bussa alla porta tra falsi poveri, scrocconi incalliti, imbroglioni e lestofanti che non hanno neppure più rispetto per la vecchiaia e per le cose sacre, spesso balordi violenti che per pochi centesimi non esitano a massacrare di botte gli ingenui malcapitati; ma un parroco che conosce ormai da decenni il proprio gregge (così almeno dovrebbe essere), veramente non riesce a trovare una famiglia, dei pensionati, dei fratelli o delle sorelle, fedeli, onesti, equilibrati, soprattutto cristiani, disposti alla collaborazione in cambio di un tetto che altrimenti rimarrebbe vuoto, deserto e incustodito?
 Allo stesso tempo m’intristiscono profondamente le condizioni di molti sacerdoti ormai avanti nell’età, soli, quasi abbandonati, magari nel deserto di una casa parrocchiale enorme… e mi chiedo come sia possibile una desolazione di queste proporzioni: il vecchio si deve preparare tutto da solo, fortunato ancora se qualche donna di buon cuore si affaccia ogni tanto sulla soglia a sbrigare le pulizie più urgenti. Dov’è il popolo cristiano? O meglio: che ruolo ha avuto negli anni un popolo cristiano su cui non si è riposta mai alcuna fiducia importante, un popolo sempre tenuto ai margini delle decisioni, con cui non si è mai fatta vera comunità?
 Non c’è dubbio che spesso l’eccessiva fiducia è stata mal ripagata, le sorprese sono state dolorose e hanno lasciato il segno (si pensi solo a quello che, al vertice, è accaduto a Pio XII e  a Benedetto XVI, tra fotografi e camerieri infidi e sleali: ormai è storia),  ma questo è il limite intrinseco di tutte le cose di questo mondo, questa è la condizione della nostra umanità: gli stessi uomini di chiesa a volte non sono stati adeguatamente in linea con le proprie responsabilità, meno affidabili degli stessi laici; Giuda ha tradito Cristo (ed era stato scelto dallo stesso Maestro divino), per non ricordare le fughe degli altri apostoli e i lapsi dei primi secoli di storia cristiana. Il rischio c’è sempre e ovunque, ma come non si esita a utilizzate l’auto sebbene si conosca il numero delle vittime sulle strade di tutto il mondo, così non è possibile porsi in uno stato di perenne diffidenza anche con chi da tempo immemorabile s’impegna nel seno della chiesa e di cui si ha avuta la possibilità di conoscere la vita e le opere.
 D’altra parte l’atteggiamento di apertura e di fiducia non è un optional, o un punto di vista: il consacrato dovrebbe avere altre responsabilità: l’amministrazione, la burocrazia, gli affanni economici dovrebbero essere sostenuti, o almeno condivisi con dei collaboratori laici; l’alternativa è trascurare la Parola di Dio per la quale il clero è stato invece consacrato:
Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». (At.6,2-4)
Feste, gite, pranzi e cene, rappresentazioni e teatro. arte, erudizione e antiquaria, ristrutturazioni, conservazione e ampliamenti, biblioteche, cultura scuola e insegnamento… sono tutte opere meritorie, ma non proprie del clero, anzi non dovrebbero proprio esserlo se non nella misura in cui interagiscono con il ministero della Parola da cui seguono, per concretizzarla nel quotidiano.
 Mi pare evidente però che anche i sacerdoti sono uomini e hanno tutto il diritto di conservare una fetta dell’esistenza per interessi e attenzioni che non sono esclusivamente legati all’annuncio della Parola; quindi tutto quello che si è messo fuori dalla porta può rientrare in qualche modo dalla finestra, a condizione che non occupi in esclusiva l’attenzione di un uomo consacrato a scapito dell’esclusività della sua vocazione e di quella del laico, in una pericolosa confusione dei ruoli.
 La diffidenza però non solo può caratterizzare l’operato di un sacerdote, ma anche e soprattutto l’operato di quei laici che in numero molto ridotto sono riusciti a entrare nella città proibita: spesso sono i più temibili perché concretizzano circuiti chiusi inaccessibili da dove la più parte dei fedeli è estromessa. Quando poi si è un po’ ignoranti, o avanti con gli anni, allora non si ha scampo: è molto più facile ricevere che essere messo nella condizione di dare. E’ più facile insomma che un povero diseredato riceva l’aiuto delle opere assistenziali della Chiesa, di quanto possa lui stesso parteciparvi ed essere attivo, specie se la cosa comporta l’assunzione di  particolari responsabilità.
 Da quindici anni sono in dialogo settimanale con i Testimoni di Geova e ho capito quale sia la ragione del loro successo, anche se agli occhi dell’arroganza di chi pensa di avere in tasca la verità assoluta, i Geovisti sono spesso snobbati e ridicolizzati [Si veda l’Appendice N 2].
Tutti nella congregazione sono coinvolti, di là da ogni barriera; tutti sono egualmente responsabili e responsabilizzati; tutti devono partecipare alla vita attiva del gruppo; nessuno è più importante di un altro e più deboli escono in coppia con i più preparati. Giovani e vecchi, uomini e donne, ragazzini e gente matura, tutti sono rivolti verso un unico obiettivo, con entusiasmo, in un ruolo attivo in reciproca compensazione.

Giovanni gli disse: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri». Ma Gesù disse: «Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi. (Mar.9,38-40)


7) La piaga dell’indifferenza

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Si è soliti analizzare in una prospettiva psicologica e sociologica anche la crescita delle unghie delle zampe dei pappagalli, si vuole così leggere tra le righe ciò che non sta scritto da nessuna parte, ma non si vogliono leggere i messaggi che a caratteri cubitali ci invia la società dei consumi.
Non si capisce come possano essere giunti a tale efferatezza! - commentava un giornalista la scorsa settimana quando due minorenni hanno seviziato e ucciso un loro coetaneo per pochi spiccioli.
Quali altri effetti si potrebbero immaginare su persone un po’ instabili, dalla sistematica commercializzazione e riproduzione di spettacoli in cui la violenza gratuita fa da padrona?
Psicologia e sociologia strumentalizzate vogliono vedere quello che non c’è e non vedono quello che anche un ignorante privo di laurea, con un po’ di buon senso, saprebbe cogliere dagli avvenimenti di tutti i giorni, dalla storia passata e da quella contemporanea.
Ci si è mai chiesto allora perché certe trasmissioni televisive abbiano avuto un successo apparentemente inspiegabile nella loro semplicità disarmante, prive delle solite esche che si usano per polarizzare l’attenzione del pubblico? Non si sorrida per favore con aria di superiorità: è proprio quest’arroganza che non ha mai permesso di acquisire i segni dei tempi e farne tesoro.
Nessuno mai si è chiesto perché le serie televisive di don Matteo e di suor Angela siano diventate assieme al maresciallo e al capitano della stazione dei carabinieri, il primo, e assieme a un ispettore di polizia e a un avvocato, la seconda, un successo incontestabile, ritrasmesso mille e mille volte dalle reti televisive, come don Camillo e Peppone, o le vite di padre Pio, o di Filippo Neri, o del dottor Moscati, o di Giovanni XXIII, o di Giovanni Paolo II?..
La gente cerca oggi con affanno, consciamente o no, dei punti di riferimento, degli esempi, delle sicurezze, delle “divise” specifiche che sappiano rassicurare, partecipare, vivere le angosce, le sofferenze, le attese, i drammi quotidiani, di fronte ai quali spesso si è lasciati soli: soli i vecchi, sfruttati fino a quando hanno fatto comodo; soli i giovani, coccolati da una scuola che non li sa far crescere e responsabilizzare e poi buttati in un contesto sociale dominato dall’arrivismo e dagli interessi; soli i mariti o le mogli in famiglie sempre più divise.
Oggi vanno di moda le sedute dallo psicologo o dallo psicanalista: nulla da obiettare, ma… i sacerdoti hanno ancora la pazienza di ascoltare, di partecipare e magari… di assolvere? Noi cristiani dovremmo credere che le forze strettamente umane possono fare molto, ma senza il soprannaturale, senza la vite, rischiano di soccombere; purtroppo però si demanda con estrema facilità alle strutture di questo mondo, sempre più impersonali, estranee, frettolose, forse burocratizzate in formalismi privi del cuore che invece batte in ogni essere umano.
La porta sempre aperta di don Matteo, l’esuberanza e la capacità di adattarsi ai tempi di suor Angela, entrambi non indifferenti alle sofferenze e ai problemi del prossimo, che certamente riflettono anche l’opera reale di tanti sacerdoti e di tante suore, nelle realtà ecclesiale è abbastanza isolata, ma sono dei “tipi”, che, a una lettura anche solo un po’ attenta, rivelano un’esigenza intrinseca di questa società materialista che, senza spirito sta boccheggiando asfissiata.
Friedrich Engels definì l’uomo come Colui che mangia: -Dategli da mangiare – diceva – e vedrete che lo renderete felice. Oggi la pappa non manca e, assieme al pane, c’è anche il companatico, ma… l’uomo non sembra essere felice se il consumo di tranquillanti, eccitanti, antidepressivi, sonniferi e psicofarmaci in genere è aumentato in progressione esponenziale. E allora?.. Se non si è completamente rincitrulliti dietro ai laureati e alle laureate del niente, resta da concludere che probabilmente pane e companatico sono già una buona partenza, ma non bastano; psicologi e psicanalisti possono essere un buon proseguo, ma non bastano; hobby, distrazioni e passatempi occupano un posto non trascurabile, ma non bastano: tutto rimanda all’essenziale e l’essenziale è la Vite, l’essenziale è la Buona Novella di Cristo, senza la quale si è destinati allo scacco finale, alla morte: ci saremmo per la morte, esisteremmo per la morte, come sosteneva Martin Heidegger.

Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. (Giov.6,68)

E chi ci può portare Cristo e la sua Speranza per guarirci?
…folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità. (Luc.5,15)
 Innanzi tutto i sacerdoti e i religiosi, consacrati con un sacerdozio ministeriale.
Se poi non ci è gradito l’esempio  di don Matteo e di suor Angela, troppo banali per gli acculturati del XXI secolo, neppure all’altezza di stimolare una riflessione di semplice psicologia sociale,  proviamo allora a ricordare i Santi (questi odierni sconosciuti!), o, se vogliamo restare nell’ambito della cultura ufficiale, le parole del professor Enrico Medi, Servo di Dio e fisico:

Vogliamo vedere innanzi tutto il sacerdote santo, il sacerdote saggio, il sacerdote semplice, il sacerdote crocefisso ogni giorno per amore delle anime e per l’ardore del cuore… Il sacerdote è il giovane di Dio, il sacerdote è l’astronauta di Dio. Ricordati o servo del Signore che tu non sei un uomo come gli altri. Il giorno in cui lo Spirito Santo ha inciso sopra di te un carattere eterno, hai cessato di essere un uomo comune… Se tu o sacerdote sei santo, sei grande, sei umile, sacrificato, moribondo di giorno in giorno, consumato dall’amore del Divino Spirito e dall’incanto di Maria, la gioventù sarà salva, avremo vocazioni, avremo amore di sacrificio, avremo dedizioni e la gioventù troverà la strada della luce… Parlateci di Dio, il fremito di tutte le cose, di tutta la natura…
Ma se il sacerdote non ha quelle qualità e soprattutto non sarà "moribondo di giorno in giorno, consumato dall’Amore del Divino Spirito…", se l’indifferenza per il suo gregge ha preso il sopravvento, allora saremmo veramente costretti a "essere per la morte", dopo aver sognato l’impossibile in questa società di apparenze, soffocati come gli Ebrei dagli idoli dei popoli vicini ai quali ci siamo consegnati, ai quali siamo stati consegnati. [Si veda anche Appendice N°3 ]

8) La piaga dell’assenza e dell’omissione
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Sai - mi disse un giorno il mio amico geovista – anche Tizio si è fatto battezzare e ora frequenta la nostra Sala del Regno.
Conoscevo Tizio da tempi immemorabili, era stato sempre un cattolico all’acqua di rose come tanti altri e la cosa non mi stupì più di tanto.
A sì? – risposi – Sei stato tu l’ispiratore della conversione?
I miei fratelli e io! – mi rispose l’amico tutto soddisfatto, e sembrava che il pensiero fosse concluso.
Mi sai però spiegare una cosa? – riprese il geovista – Conosci le parole del Vangelo di Luca al 15,4?
E non esitò a sfogliare la Bibbia e a leggerci sopra:
Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova?

E in Matteo 18,13, sai come continua l’evangelista?
Di nuovo riprese a sfogliare per continuare a leggere:
Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.

A quel punto compresi dove volesse arrivare ed ebbi paura, perché se non mi dava alcun problema disquisire sul dogma della Trinità, o sui Sacramenti, o sulla devozione a Maria, su quell’argomento sapevo perfettamente che ne sarei uscito sconfitto.
Perché – mi chiese imperterrito l’amico – il parroco di Tizio non è andato alla sua ricerca?
Forse non l’ha neanche saputo! – provai a rispondere.
No, l’ha saputo benissimo perché Tizio si è recato da lui per farsi cancellare dalla lista dei fedeli. Sai che cosa gli ha risposto il parroco?
No! – risposi io, rassegnato.
Che se andava bene per Tizio, andava bene anche per lui (per il parroco). Che ne dici dei tuoi pastori? Si preoccupano delle pecore che gli sono state affidate?

Poi concluse con Giovanni 10,12:

Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde.
Pensai allora che a Tizio fosse andata ancora bene: in fondo era passato da una religione cristiana a un’altra, dove Cristo è pur sempre il punto di riferimento; ma quando le pecore percorrono altre strade di ben altra perdizione, che fanno i nostri pastori per recuperarle al gregge?
Guai al pastore stolto che abbandona il gregge! Una spada sta sopra il suo braccio e sul suo occhio destro. Tutto il suo braccio s’inaridisca e tutto il suo occhio destro resti accecato». (Zc.11.17)
Non si capisce bene se sia accidia pastorale, se sia paura, se sia rassegnazione… ma conventi, chiese, monasteri e parrocchie possono diventare il rifugio di un immobilismo passivo e inattivo che non sembra proprio in sintonia con gli ordini evangelici.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. (Mat.28,19)
Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. (Luc.10,3)
 Evidentemente oggi è arduo bussare agli usci delle case. Il parroco non è più un’autorità, c’è il rischio di vedersi chiudere la porta in faccia, di ricevere qualche insulto, di essere oggetto di scherno e derisione… Ma c’è chi sta peggio e rischia ogni giorno la vita per essere fedele a Cristo e alla sua Chiesa; chi non sa di poter uscire tutto intero da una celebrazione eucaristica; chi vive in un ambiente violento e ostile alla fede cristiana. Noi potremmo ancora definirci fortunati, in fondo: non pretendiamo di essere anche onorati e riveriti, già predicare il Vangelo dovrebbe essere per noi un dovere.
Non è, infatti, per me un vanto predicare il vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il vangelo! (1Cor.9,16)
Evidentemente l’assenza non si può rimproverare solo alle guide, ai pastori, ma anche a tutto il popolo che si vuole definire cristiano; il secondo però ha bisogno di essere portato sul tappeto della testimonianza e dell’operatività: il sacerdozio regale appartiene a tutti, è vero, ma quello ministeriale che s’incarna nelle guide, è di pochi, dei pastori appunto.
A proposito, non dimentichiamo Ezechiele 33,8-9:
Se io dico all'empio: Empio tu morirai, e tu non parli per distoglier l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà per la sua iniquità; ma della sua morte chiederò conto a te. se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta perché si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità. Tu invece sarai salvo.

9) La piaga della desolazione

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!
Mancano gli esempi e l’entusiasmo, per questa ragione, di conseguenza, mancano le vocazioni sia sacerdotali, sia religiose. Se chi deve far da guida non crede, è stanco, deluso, rinunciatario, pessimista,  come può pensare che un giovane lo possa prendere a esempio?
Vi ho dato, infatti, l'esempio perché come ho fatto io, facciate anche voi. (Giov.13,15)
A questo, infatti, siete stati chiamati, poiché anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme… (1Ptr.2,21)
 Nella biblioteca parrocchiale di Mosso, ci sono sette volumi, formato gigante, del 1500, sulla vita dei santi, questi sconosciuti, il De probatis sanctorum historiis, di cui oggi però nessuno ci parla, fatta eccezione per quelli che possono ispirare delle belle serate musicali, o che fanno business, che possono cioè aumentare l’indice d’ascolto, o permettere lucrose raccolte di denaro (non so proprio, ad esempio, nel caso in cui padre Pio fosse ancora in vita, se le potrebbe condividere, anche se celebrate in suo onore!..).
Al limite, davanti a certi santi, si accende ancora la candelina: i più noti, i più gettonati, quelli dei miracoli, da sant’Antonio a santa Rita, da santa Teresa a papa Giovanni, da san Michele a san Domenico Savio… Poi c’è san Francesco, che oggi va di moda per la maggiore: fa comodo perché e il tipico santo inimitabile, come giustamente sosteneva san Bonaventura: - Ammiratelo, ma non imitatelo. Se oggi ci si mettesse, infatti, ad abbracciare un ammalato di ebola come faceva Francesco con i lebbrosi, o se un cristiano distribuisse ai poveri il denaro del padre, a sua insaputa, o si spogliasse dei vestiti in un’assemblea domenicale, sarebbe internato nel repartino psichiatrico.
I Santi invece hanno proprio la funzione di essere d’esempio, altrimenti che cosa ci stanno a fare, visto che oltretutto gli esempi ci mancano? Un tempo questa funzione era evidente: alla festa del patrono se ne leggeva la vita, arrivavano i predicatori e si meditava sulla loro opera; oggi per la festa patronale, sono rimaste le giostre, il banco di beneficenza, le mangiate, la baldoria, i balli, le musichette, i fuochi d’artificio… la desolazione cristiana insomma.
La docenza dei Santi si riassume in poche parole che la Bibbia ci suggerisce:

Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. (Is.55,8)

Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». (Mar.8,33)
Forse si dovrebbe invece ricercare di più tra le pieghe della Storia, quella vera, non nelle storie dei soliti palinsesti scandalistici, che hanno raggiunto anche i libri scolastici: i Santi hanno sperato contro ogni speranza, hanno saputo sognare nella fede, non si sono mai fermati a leccarsi le ferite, ma contro tutto e contro tutti hanno convertito con l’esempio, poi hanno amato dell’amore cristiano che non conosce limiti, sono fiorite così le opere e i discepoli.
La pazzia delle opere! Sì la pazzia delle opere che si temono di affrontare consolati solo dalla pianificazione sicura e protetta da altrettanto sicure e protette risorse economiche. Che cosa direbbero oggi i Santi fondatori ai loro figli chiusi e sicuri ormai dentro le loro case da cui molto difficilmente escono alla ricerca della pecora smarrita?
Una predicazione cristocentrica è indubbiamente biblica e liturgica; ma Cristo è pur sempre Cristo: vero uomo ma anche vero Dio! Per quanto si voglia mettere al nostro fianco e lo sia veramente, nell’immaginario collettivo, rimane il "Signore".
I Santi invece sono uomini e donne come noi: hanno sofferto, si sono ammalati, hanno trepidato, hanno conosciuto momenti di crisi… San Giovanni della Croce scriveva della notte dello spirito, non sconosciuta a madre Teresa di Calcutta e neppure al santo Curato d’Ars. Tra le tante sofferenze fisiche e spirituali i Santi però hanno saputo perseverare e la loro luce, per niente fioca o desolata, è stata capace di attrarre a sé un numero impressionante di cristiani che sono stati accolti senza diffidenza, senza sfiducia, senza compromessi ma con grande giovanismo, il giovanismo della fede evidentemente, non quello dell’età.



10) La piaga della sfiducia

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Fiducia
è un vocabolo che deriva dal verbo latino fidere (=fidarsi, confidare); da fidere abbiamo anche fides (=fede), la prima virtù teologale, teologale perché non considera il rapporto del cristiano con gli altri cristiani ma con Dio. La sfiducia è dunque una mancanza di fede, innanzitutto con il proprio Creatore, che ricade poi anche sul rapporto con gli altri.
Qui si vorrebbe valutare esclusivamente il rapporto con Dio e non nella sfera privata, che non compete per niente a questa riflessione, ma nella fiducia che si dovrebbe comunque possedere, nella Provvidenza, con riferimento all’evangelizzazione e alle opere cristiane sulle quali i primi responsabili sono spesso pessimisti e disfattisti, come se lo Spirito non fosse stato promesso da Cristo alla sua Chiesa nei Secoli fino alla fine dei tempi.
Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future… pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi. (Giov.14,13-17)
Lo spirito però deve essere richiesto con la preghiera:
Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! (Luc.11,13)
Quand'ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono pieni di Spirito Santo e annunziavano la parola di Dio con franchezza. (At.4,31)
E non gli si deve opporre resistenza:
O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così anche voi. (At.7,51)
Un cristiano che oppone resistenza allo Spirito, bestemmia contro lo Spirito:

Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato.(Luc.12,10)
Con bestemmiare lo Spirito Santo, non s’intende evidentemente l’insulto quale comporta la ‘bestemmia’ intesa così nel senso comune, ma operare contro lo Spirito, mancare di fiducia nello Spirito, venire meno, soprattutto come guida ministeriale, all’esempio che si dovrebbe al popolo cristiano. E ancora, calcolare già prima di iniziare la quantità degli eventuali frutti destinati alla raccolta e far dipendere dalla raccolta, così supposta, la propria pastorale.
Non basta ancora: operare contro lo Spirito vuol dire tarpare le ali a chi vuole volare nello Spirito; scoraggiare l’operatività cristiana invece di correggerla, là dove necessita di correzione; respingere i doni dello Spirito operanti negli altri perché non in sintonia con i propri gusti e le proprie paure…
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. (Mat.23,13)
Ho assistito, ad esempio, a una vera e propria intolleranza della chiesa, sia da parte dei suoi ministri, sia di certi laici, verso i gruppi di preghiera del Rinnovamento dello Spirito, tra i cui fedeli si percepisce un entusiasmo incredibile di fede e di partecipazione che io, nella mia freddezza razionale, ho sempre invidiato. I soliti giudici senza misericordia hanno criticato certe manifestazioni non del tutto ortodosse, nelle invocazioni, al momento dell’eucarestia, sui tempi e sulla durata della santa messa.
 Per questi giudici di carta, lividi d’invidia, è più scandaloso un fedele che parla in lingue, o uno che sviene al ricevere l’ostia consacrata, che migliaia di cristiani indifferenti, lontani dalla vita della chiesa, alla cui porta però nessun giudice di carta, sempre ligio nella critica, ha mai bussato per portare il Cristo e la sua Buona Novella.
 Non si è mai pensato veramente che certe reazioni sono più che naturali nei cuori sensibili che si rendono conto e credono con tutto il cuore e tutte le loro forze di ricevere il Corpo di Cristo, al quale spesso ci si accosta con l’indifferenza della quotidiana routine e in cui spesso gli stessi ministri credono a fatica, o non credono per nulla?
 I Santi per primi (non mi stancherò mai di nominarli) hanno sofferto sulla loro carne la bestemmia sistematica contro lo Spirito Santo, e tantissimi cristiani, senza necessariamente essere santi, hanno patito la piaga della sfiducia che alberga nel cuore di chi dovrebbe essere la forza trainante e invece s’ingegna con ogni mezzo di piantare paletti di ogni genere attorno alle opere dello Spirito, adducendo scuse che si possono giustificare solo con la forza di una sapienza tutta umana, se non del tutto atea.
 Si pensi un po’ se san Francesco ritornasse fra i suoi frati… san Filippo Neri tra i suoi religiosi… e così san Giovanni Bosco, san Giuseppe Cottolengo… e san Domenico si chiuderebbe dentro i pochi conventi rimasti?.. o li vedremmo per le strade a predicare, a sanare… con dei metodi non proprio ortodossi per i critici della carta, asserragliati sempre dentro le loro case, i loro palazzi, dentro conventi e chiese. Quante fu costretto a patirne padre Pio per le sue stigmate e per la durata delle sue sante messe! E al beato Francesco Faà di Bruno?.. il suo arcivescovo arrivò a negargli l’ordine sacro; Madre Maria Antonia Averna per fondare il suo istituto di suore passò attraverso una serie di vicende, di ostacoli, di calunnie, di incomprensioni di cui solo una millesima parte oggi fermerebbe intere congregazioni confederate.
 Queste sono solo briciole di storia cristiana, dove però il Cristo sta dalla parte dei perseguitati, non dei persecutori, o anche solo degli indifferenti, coloro che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo, e che non sono di certo meno responsabili.


11) La piaga del rispetto umano

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!
Si valutino le parole del Salvatore, molto chiare anche per chi pretende da Dio l’assoluta misericordia sulle nefandezze più stolte commesse dagli uomini: mi ricordo a proposito di un predicatore che dal pulpito sentenziava che Gesù non ebbe mai a condannare nessuno, ma solo a esercitare la più assoluta misericordia. Qui non si fa riferimento a omicidi, o a stragi, o a stupri, eppure le parole di Gesù sono terribili:
Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. (Mat.10, 32-33)
Se i cristiani fanno massa, allora, come in tutte le circostanze, il branco infonde coraggio; se i cristiani però sono da soli ad affrontare il senso comune di una società senza valori, allora spesso ci si può accontentare se si limitano a tacere e non si pronunciano contro la propria Chiesa e Dio stesso. I preti non sono da meno: facilissimo predicare dal pulpito dove nessuno può controbattere, un po’ più imbarazzante confrontarsi con le idee del secolo specie se supportate dall’autorità di un insegnante, di un assistente sociale, di uno psicologo, di un avvocato…  Quando cioè l’ateismo, o l’agnosticismo, o l’utilitarismo si sposano anche con una preparazione culturale certificata con il solito pezzo di carta (ma per lo più asinesca su argomenti di fede), allora, nel confronto, si teme di apparire retrogradi, ignoranti, sorpassati, che è poi lo spauracchio di oggi, quello cioè di essere giudicati non al passo con i tempi, e si tace non confidando nella forza dello Spirito:
E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire, ma dite ciò che in quell'ora vi sarà dato: poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo.(Mar. 13,11)
Quante volte si resta senza argomenti se l’interlocutore se la prende con l’8 x 1000, concepito come l’origine di tutti i mali economici italiani; oppure con la scuola cattolica per la quale i soliti detrattori immaginano prebende ingiustificate elargite dalle casse dello stato a detrimento della scuola pubblica; per non affrontare i soliti argomenti legati agli scandali veri o presunti, a livello nazionale o internazionale.

Si rimane ancora più spiazzati se s’incontra il solito appassionato di psicologia alla cavaliera che può esordisce così, per proporre un esempio:

Noi, desiderosi di sopravvivere alla morte, proiettiamo le nostre aspirazioni su un essere superiore che immaginiamo perfetto, così fabbrichiamo a nostro uso e consumo il dio delle tante religioni che ci garantisce l’immortalità.
E chi saprebbe rispondere usando magari le stesse armi del mamalucco?..
Sono argomenti a volte molto complessi che solo un’adeguata preparazione, che non sia alla cavaliera come l’obiezione, può permettersi una risposta adeguata; e non si può sempre scegliere l’ignoranza dottrinale per pigrizia e indifferenza e allo stesso tempo pensare che miracolosamente a tempo debito lo Spirito ispiri le parole più opportune. Questo però è un altro argomento che ho già affrontato nelle riflessioni per una scuola cattolica e in questo lavoro nella Piaga della cultura sterile.
Qui è invece importante evidenziare come il cristiano, in certe situazioni, spesso si ritiri come la lumaca nel suo guscio, e non sappia e non voglia offrire la sua testimonianza, spaventato, terrorizzato, menomato nella sua fede che soccombe sotto i colpi della parola provocatoria, della cultura, del pensiero ateo, miscredente e agnostico, di fronte al quale non ha nessuna preparazione. C’è però di peggio quando, in uno stato di euforia generale, il cristiano con disinvoltura, trascinato dalla compagnia e dal senso comune, passa sull’altra sponda, per poi, con la stessa disinvoltura, ritornare sui suoi passi, la domenica.
Una volta, nei primi secoli del Cristianesimo, questi "traditores" si chiamavano "lapsi", perché, di fronte alla tortura, avevano rinnegato la Croce e il Vangelo; molte comunità cristiane, ritornata la calma, li rigettarono e non vollero più saperne di loro. Oggi invece sembra che tutto rientri nella norma e si cambia giacchetta con estrema facilità senza alcun rimorso, né si cerca di rispondere con un’istruzione adeguata ai trabocchetti di una società che respira il tipico atteggiamento diabolico di insinuare dubbi e di accusare gli innocenti per giustificare la propria inadeguatezza.
Altro che "soldati di Cristo": quante volte ha sentito queste tre parole chi è già di una certa età! Se giustamente però si vogliono mettere da parte i termini di un certo militarismo, la sostanza non cambia e il rispetto umano non può essere giustificato da nessun compromesso.


12) La piaga del manageriato

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

In tempi passati la Chiesa ha dovuto spesso patire grandi espropri da parte dell’autorità civile. Capitò con l’occupazione napoleonica che chiuse, vendette o distrusse conventi e monasteri riducendo al secolo molte comunità religiose. Si ripeté la stessa esperienza con l’unità d’Italia…
Oggi i governi hanno adottato una tattica più sottile: perché caricarsi di legna verde? Meglio lasciare le cose come stanno e tassare, controllare, pretendere. Così l’ICI, l’IMU, la TASI… i controlli asfissianti sui beni culturali, le pretese normative sugli immobili, specie quelli destinati alle opere assistenziali ed educative, quando gli immobili dello stato sono invece in condizioni deplorevoli.
La Chiesa però non ha mancato di accelerare, o addirittura di sollecitare con certe sue scelte, o anche solo con certe simpatie che l’hanno assuefatta alla logica del Secolo, questi interventi che come una nemesi storica si sono abbattuti però su tutti in egual modo, perché evidentemente l’autorità civile non sarebbe potuta riuscire in distinzioni di merito sulle ricchezze accumulate senza ragione e su quelle destinate ai fedeli, ai poveri, ai diseredati.
Intendo dire che non è compito dei pastori fare soldi per accumulare senza scopo ricchezze inutili, immobili vuoti o affittati al miglior offerente. Rilevo il verbo "accumulare", perché le opere di bene hanno anche bisogno di un capitale, nessuno vuole imbastire il solito processo laicista e abbastanza idiota ai beni della Chiesa, o al Vaticano, che sono poi i beni del popolo di Dio per cui bisogna assicurare una retta e oculata amministrazione.
Ben lontano poi il pensiero, se non addirittura la pretesa, di aprire indiscriminatamente case parrocchiali, conventi, monasteri, collegi, immobili al primo avventuriero temerario che si possa presentare alle sue porte. Molti di questi immobili esplicano già un’attività assistenziale, o sociale, o di apostolato; altri permettono degli introiti, con affitti o vendite, che sono indispensabili per mantenere i primi, o ristrutturarli secondo le norme vigenti; altri ancora sono fatiscenti e inabitabili (un abbandono forse ingiustificato); le case parrocchiali infine ospitano spesso dei sacerdoti anziani e infermi che non possono sopportare nuove incombenze…
Scontato tutto questo, rimane che, in ogni caso, il sacerdote non dovrebbe essere compromesso eccessivamente dalle ragioni del denaro a scapito della sua stessa opera ministeriale: in questa situazione si dovrebbe avere fiducia nelle forze laiche, specie quelle competenti in materia, per ottenere un supporto consapevole, adeguato e cooperativo. I fedeli non sono proprio riusciti mai a digerire un prete manager, anche se la sua opera materiale è completamente a servizio della comunità (da un prete ci si aspetta altro!), né essere lasciati all’oscuro sulla gestione dei beni della chiesa, sui quali poi s’imbastiscono ipotesi fantascientifiche.

Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola» (At. 6,2-4)
So di riportare per la seconda volta questa citazione, ma… repetita iuvant!

Su questo argomento la riflessione però è molto delicata perché non sempre si possono definire a priori i limiti che fanno di un manageriato una necessità, oppure… una piaga. La coscienza di ognuno, la commissione pastorale, una pausa di riflessione accompagnata dalla preghiera, il coinvolgimento diretto di tutta una comunità secondo le capacità dei singoli fedeli, diventano la misura di ogni iniziativa, oltretutto se caratterizzata da un forte impegno economico.
Quando però l’aspetto economico diventa la condizione assillante per ogni iniziativa di apostolato, la cappa che toglie il respiro al fervore della fede, il cappio che tarpa le ali dello Spirito, che mette a tacere la fiducia nella Provvidenza, o peggio che ostacola asfissiando l’entusiasmo dei fratelli o dei figli, allora diventa una piaga; e piaga lo è ancora di più quando il pastore invece di coltivare e curare le anime, coltiva e cura il conto in banca anche se le operazioni di media e alta finanza sono scaltre e ricche di risultati.
In sintesi, a scanso di equivoci: per sostenere un’organizzazione, com’è la Chiesa di Roma, a livello mondiale, in tutte le sue molteplici espressioni, sono necessari anche degli uomini e delle donne esperte in economia, l’opera di un uomo consacrato però non può assolutamente ridursi a quella di un manager. Non è assolutamente biblico! E noi dovremmo fidarci della Parola.
Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta?  chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita.  (Mat.23,16-21)


13) La piaga del cieco buonismo di comodo

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Feci osservare un giorno a un padre francescano:
In un paese di quindicimila anime, la tua chiesa è sempre deserta: poveri noi! La situazione è drammatica.
Guarda che ogni mattina alla santa messa c’è sempre partecipazione – mi rispose sereno e ottimista come sempre.
E quanti sono i fedeli?
Una quindicina! – mi rispose ancora più serafico in contemplazione estatica.
Quindici su quindicimila – pensai io – l’uno per mille!..
A un amico prete provai a chiedere dell’oratorio, come funzionasse nella sua parrocchia.
Bene! – mi rispose ottimista ed entusiasta anche lui – Quest’anno organizziamo anche “Estate ragazzi!”.
E negli altri mesi? – provai a insistere.
Noo! Negli altri mesi rimane chiuso: non c’è nessuno che lo frequenti, ma soprattutto non c’è nessuno che si sia offerto per l’assistenza.
Come poteva accordarsi quel “bene!” – pensai – con un oratorio permanentemente chiuso? A quanto pare però per quel sacerdote il problema non si poneva neppure, sebbene la sua parrocchia contasse alcune migliaia di anime.
A un responsabile ecclesiastico riferii un giorno le condizioni in cui versava (e versa) l’insegnamento di religione nelle scuole: come certi insegnanti, proprio in quelle ore, svolgano di tutto tranne religione, o cultura religiosa. Era la mia esperienza ormai decennale.
Però ce ne sono di ottimi – mi rispose – che sviluppano un programma ineccepibile e lavorano proprio bene.
Io ne ho conosciuti ben pochi – provai a insistere.
Ce ne sono, ce ne sono! – E l’illustre interlocutore cominciò a tessere gli elogi degli “ottimi”, ignorando del tutto il problema che avevo sollevato, come a voler bandire dai pensieri un’ombra che avrebbe potuto in qualche modo guastare i suoi sonni beati.
In una cittadina di provincia di cinquantamila anime, dove la scuola cattolica è ormai ridotta al lumicino, con superiori inesistenti, un’unica classe di media inferiore boccheggiante ed elementari in crisi, all’annunciata chiusura di uno dei tre istituti, sentii da un responsabile, probabilmente anche lui in estasi, queste precise parole:
Mi consola però l’attenzione che le famiglie hanno per la nostra scuola: ho potuto parlare con quei genitori e li ho visti decisi e risoluti per un’istruzione cattolica!
Ma dove?.. ma quando?.. ma come?.. Su cinquantamila anime, senza contare tutta la provincia!?
Il cristiano dovrebbe essere per natura ottimista, ma l’ottimismo che è adottato per eludere i problemi e lavarsene di conseguenza le mani, non è ottimismo: è omissione; e l’omissione, come ho già avuto occasione di ricordare, è un peccato! O pensiamo che il Dio misericordioso che si continua a predicare ovunque, sia disposto, oltre ad aver patito lo scherno e la croce, a essere preso anche per il naso dai furbi del XXI secolo?..
Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. (Gal.6,7)
E ritorniamo ai Santi: don Bosco e Filippo Neri, ad esempio, in tempi differenti, s’impegnarono ad affrontare dei problemi (erano problemi legati proprio alla giovane età) che per gli ottimisti dell’epoca (ed erano tanti, tra preti, autorità religiose e civili!) non esistevano neppure; con molte probabilità quei problemi non esistevano neppure solo perché gli ottimisti non volevano sporcarsi le mani, non volevano assumersi delle precise responsabilità, il quieto vivere era la ragione ultima di quell’ottimismo farisaico. Neri e Bosco, da guastafeste, quei problemi invece li sollevarono, e in una prospettiva tutta cristiana: senza cioè criticare nessuno, mettendosi in gioco loro, in prima persona.
Per mettersi a posto la coscienza gli ottimisti benpensanti di quei tempi trattarono i due Santi come se fossero dei pazzi, mettendo in mezzo la dignità sacerdotale, o il decoro, o il buon senso, o lo scandalo… perché agli occhi dell’accidioso, l’altrui zelo diventa un giudice implacabile della sua accidia, giudice che bisogna con tutti i mezzi esorcizzare e mettere a tacere per recuperare appunto il quieto vivere degli stolti che non si vogliono mai affannare.
L’affanno che il Vangelo condanna, infatti, è quello che vuole garantire il quieto vivere:
Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. (Mat.6,34)
… l’affanno del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non dà frutto. (Mat.13,22)

Non è quello l’affanno che si pone a servizio dei fratelli, altrimenti Cristo non si sarebbe affannato sul legno della croce:
In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. (Luc.22,44)

e non ci avrebbe invitati a imitarlo:
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore... (Mat.11,29)

Lo stesso pensiero vale per l’affanno, la preoccupazione, lo zelo a servizio della Chiesa e dei fratelli:
…e oltre a tutto questo, il mio affanno quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. (Cor.2,11-28)
Anche i Santi hanno provato l’affanno, ma l’hanno superato mettendosi nelle mani del Maestro, ma soprattutto non astenendosi dal servizio ecclesiale dovuto:
…gettando su di lui ogni vostro affanno, perché egli ha cura di voi.
(Ptr.1, 5-7)

14) La piaga dell’astrattismo

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

E’ la piaga che serpeggia nei convegni, nelle adunanze, negli incontri, nelle interviste, nei salotti… con tante chiacchiere ripetute, inutili, sterili, senza domani, senza futuro, che gli intellettuali utilizzano non per illuminare il quotidiano, ma per complicarlo e, allo stesso tempo, non risolvere nulla. Gli astrattismi e le elucubrazioni non hanno nulla a che fare con il Cristianesimo.
Lascio parlare le Sacre Scritture e… non si sorrida: è Parola di Dio!
Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno. (Mat.5,4)
Quando ascolti non effonderti in chiacchiere, non fare fuori luogo il sapiente. (Sir. 32,4)
O Timoteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza… (1Tim. 6,20)
Evita le chiacchiere profane, perché esse tendono a far crescere sempre più nell'empietà. (2Tim. 2,16)
…perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. (1Cor. 2,5)
…e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali. (1Cor. 2,13)
Ma la scienza gonfia, mentre la carità edifica. Se alcuno crede di sapere qualche cosa, non ha ancora imparato come bisogna sapere. (1Cor. 8,2)
Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Efeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede. Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità, pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che danno per sicure. (1Tim.1, 3-7)
 Per concludere con Giobbe 28,28:

Ecco, temere Dio, questo è sapienza e schivare il male, questo è intelligenza.

Se solo si volesse continuare, infatti, nel libro dei Proverbi, nel Siracide, nell’Ecclesiaste le stesse riflessioni si ripetono martellanti, a volte minacciose, fino a contrapporre le chiacchiere, la verbosità, la scienza e la sapienza umana, alla Sapienza Divina, la vanagloria delle parole alla Carità, la materia alla Voce dello Spirito: le prime escludono le seconde, le seconde le prime.
 Evidentemente qui non è messa in discussione la ricerca razionale onesta rivolta soprattutto a illuminare la Parola di Dio, a conoscerne la storia, i confessori, i Santi, i martiri, i documenti del Magistero… La Parola mette in guardia qui dagli spettacoli, dalla vanità, dai confronti voluti e studiati per esibizionismo, per contendere con animosità, tutto a vantaggio dell’arroganza e dell’orgoglio che, all’atto pratico, non sanno né operare, né testimoniare, né amare.
Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. (Ef.4,14)



15) La piaga della superficialità
(Non siate pigri nello zelo; siate invece ferventi nello spirito, servite il Signore. (Rom.12,11)

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Conoscevo un prete (che chiamerò don Caio) che sembrava abbastanza coerente nei rapporti con se stesso e con gli altri. Come tutti quando doveva uscire da casa, si vestiva dignitosamente e con decoro; quando riceveva dei commensali si premurava che tutto fosse in ordine e che non mancasse il necessario per soddisfare le esigenze degli amici; quando pioveva si muniva di ombrello e di soprabito, di cappotto quando l’inverno era alle porte, di stivaletti se nevicava; l’auto era modesta, ma sempre in ordine, con le gomme pressurizzate correttamente, con il serbatoio provvisto di benzina, le candele pulite, i contenitori dell’olio e dell’acqua al giusto livello, la carrozzeria lucida e curata. Non mancava per le feste particolari un abito più bello e le scarpe nuove di zecca…
Quando però entrava in confessionale per amministrare il sacramento della penitenza, sembrava un barbone, o l’uomo di nessuno: è già tanto se indossava giacca e pantaloni, ma c’era anche quando, arrivando dall’orto, si presentava con la maglietta macchiata, i pantaloni unti e alla zuava, le mani impiastrate… Per la celebrazione della santa messa arrivava all’ultimo minuto, non si sognava neppure lontanamente di preparare adeguatamente i lettori, improvvisava i canti e, assieme ai canti, tutto il resto… Se poi usciva di casa, ne usciva in incognito: non mettiamo in discussione la talare, ma neppure il colletto romano e, a volte, neppure una crocetta che, quando c’era, era piccola piccola, minuscola, microscopica.
In realtà don Caio non esiste: don Caio è la somma di tutte le negligenze, anche quelle qui non menzionate, che sono all’ordine del giorno nella nostra Chiesa, quando i ministri pensano erroneamente che il Concilio Vaticano II abbia insegnato che, nel quotidiano, e anche nella liturgia, si possono provare anche le capriole, senza alcuna regola, senza alcun dovere, senza misura, senza limiti, negligentemente.
L’assoluzione non dipende dall’abito! – mi diceva un giorno don Caio 1.
E certo che non dipende dall’abito (grazie a Dio!), ma anche per strada non necessariamente si deve portare giacca e pantaloni, né un abbigliamento particolare a una festa… Se poi la talare è prescritta per l’amministrazione dei sacramenti, si aggiunge all’indolenza la disobbedienza perché ci si promuove senza alcun diritto misura di tutte le cose, di quelle lecite e di quelle illecite.
E’ il popolo che deve preparare la liturgia! – mi rispondeva il giorno dopo don Caio 2.
E certo, il popolo cristiano ha il suo ruolo; ma se nella comunità non ci sono né diaconi, né lettori, né accoliti, magari per un’accidia pastorale consolidatasi nel tempo, a chi tocca la liturgia?.. Per un allegro convito ci si prepara e non si lascia al caso che ci siano  o no le posate, i piatti, i bicchieri… non si lascia a uno sprovveduto la cottura della pappa, o l’acquisto delle vivande, o la mescita del vino. Di nuovo la leggerezza domina le cose di Dio e la disobbedienza non tiene conto delle raccomandazioni e delle disposizioni liturgiche che sono state prescritte dall’ultimo Concilio.
Non è con l’oro e con i riti che si conquista il cuore di Dio! – concludeva il terzo giorno don Caio3.
E certo, il concetto è giusto e le parole corrispondono perfettamente allo spirito biblico ma solo in parte, e quando la corrispondenza è solo parziale, si tratta di menzogna:
«Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?» dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. (Is.1,11)
…amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». (Mar.12,33)
Le citazioni erano d’obbligo se qualcuno avesse solo potuto pensare che non si conoscessero.
Tuttavia in Siracide 50,11 troviamo scritto:

Quando indossava i paramenti solenni, quando si rivestiva con gli ornamenti più belli, salendo i gradini del santo altare dei sacrifici, riempiva di gloria l'intero santuario.
E le citazioni a questo proposito non finirebbero più se solo si pensasse alla costruzione del Tempio di Salomone e a quali fossero state le prescrizioni dettate da Yahweh per i riti sacri.
Una cosa insomma non esclude l’altra: evidentemente a niente valgono gli ori se il cuore non ama, se prima del sacrificio non ci si è riconciliati con il fratello, se non si è rivestiti dello Spirito di Cristo. Annullare a priori la sacralità dell’azione liturgica però, e tutto quello che la sacralità comporta in una prospettiva umana, che deve fare i conti anche con la materia, perché non siamo angeli, è una scusa che nasconde in vero la trascuratezza, la sciatteria, ma soprattutto la disattenzione di comodo e la disobbedienza che si vorrebbero nascondere sotto citazioni teofaniche tratte dalla Bibbia, senza valutarne assolutamente il contesto.
La superficialità che penso abbia però danneggiato maggiormente la Chiesa (e con Chiesa intendo tutta la comunità cristiana) è stata la facilità, il buonismo, l’ottimismo di comodo con cui si è accolta la preparazione dei fedeli (o i presunti tali) ai sacramenti, particolarmente al battesimo, alla cresima, al matrimonio: oves et boves. E se qualche sacerdote ha dimostrato negli anni qualche briciola di rigore in più, non è mancato il parroco della porta accanto che si è sostituito al confratello, alimentando ancora la piaga delle botteghe.
Uomini e donne mai viste in Chiesa hanno mendicato il battesimo, o la cresima, o il matrimonio solo per fare festa, per una bicchierata, un rinfresco, una mangiata… un po’ come a Natale… senza intenderne assolutamente la valenza, il dono, l’impegno e i doveri. Di generazione in generazione così tutto si è intiepidito e poi raffreddato, fino ad arrivare all’indifferenza generalizzata che caratterizza il popolo degli ex fedeli, degli ex cattolici, degli ex cristiani.


16) La piaga degli "altri tempi"

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

- E’ possibile – chiesi una volta a un sacerdote – che sull’altare non ci sia neppure un chierichetto? Ancora universitario, al convento dei Padri Cappuccini ne guidavo una quindicina su una popolazione di settecento anime!
- Altri tempi! – mi rispose il sacerdote – Oggi i ragazzi hanno altro per la testa che servire Messa.
Eppure dove si vuole educare un ragazzo a questo servizio, un servizio che spesso è stato l’anticamera della vocazione e del sacerdozio, i risultati ci sono ancora oggi: accolitato e lettorato d’altra parte sono due ministeri che ha indicato esplicitamente il Concilio Vaticano II, non… il Concilio di Trento (con tutto il rispetto per il Concilio di Trento!).
Se si ha un po’ di pazienza e ci si collega con San Giovanni Rotondo tramite Tele Padre Pio, ad esempio, al ministero dell’accolitato accedono tutte le età, dai più giovani a uomini sessantenni e settantenni, che offrono un servizio ottimo, dove veramente tutte le componenti del popolo cristiano preparano con responsabilità quello che compete al proprio ruolo, senza che nulla sia trascurato, o improvvisato, senza che si pensi di vivere di rendita del passato, ma soprattutto attuando delle disposizioni liturgiche non solo quello che può fare comodo o può piacere. E anche in molte nostre parrocchie, là dove il parroco lo vuole, i ministranti attorno all’altare ci sono… senza la consacrazione… ma ci sono. [Si veda anche Appendice N 5]
- Perché nei confessionali le luci sono perennemente spente? – domandai in un’altra circostanza a un parroco – Perché prima della celebrazione della santa messa i sacerdoti preferiscono, senza una ragione plausibile, arrivare all’ultimo momento e non mettere i fedeli nella condizione di usufruire di un sacramento così importante qual è la Confessione o la Penitenza, come si faceva una volta?
- Altri tempi! – mi rispose il reverendo – Oggi ci sono dei momenti precisi destinati alla Penitenza; d’altra parte la Confessione non è più il lavaggio automatico cui si accede quando si vuole e i fedeli non sono proprio così disponibili.
Rimasi sbigottito anche perché venni a sapere che in quella parrocchietta tre volte l’anno si presentava un confessore straordinario che si rendeva disponibile dalle 15 alle 15,30 di un pomeriggio. Come avrebbero potuto, mi domandavo, accedere a quel sacramento i fedeli che lavorano, o gli studenti impegnati a scuola? Non sarebbe stato più semplice assicurare ai fedeli, nel giorno del Signore, il perdono promesso da Cristo a chi si pente e fa ammenda dei propri peccati? E quale giorno è il più propizio se non la domenica? Il confessionale perennemente vuoto significa rendere vano il diritto di un cristiano, complicare senza ragione l’accesso a una grazia importantissima per la vita dello spirito, non permettere sempre una preparazione adeguata alla celebrazione eucaristica.
- Com’è possibile – chiesi un giorno a un diacono - che nella vostra parrocchia di diecimila anime abbiate un asilo parrocchiale chiuso, un asilo costruito in tempi relativamente recenti, che ha conosciuto un passato glorioso e vitale?
- Altri tempi! – mi rispose il consacrato – Altri tempi! – continuò tutto sorridente – Tu sei rimasto proprio fermo all’altro secolo! – concluse.
Tacqui per non dire di più di quello che nel momento la testa m’ispirasse e la lingua potesse sillabare, ma pensai che in una parrocchia vicina di soli mille e cinquecento anime, non solo c’era la scuola materna ma anche l’asilo nido, entrambi parrocchiali, senza contare qualche altro asilo sparso per la diocesi: i responsabili erano tutti dell’altro secolo?..
Ecco dunque il senso degli "Altri tempi!": un’espressione arrogante per giustificare l’accidia pastorale e il quieto vivere di un pastore il cui titolo potrebbe essere adatto solo a pascolare oche e porci. Ci si pone al di sopra dei miseri mortali e, coniugando allo stesso tempo la piaga dell’assenteismo con quella del secolarismo e dell’ottimismo vano, si fa sperimentare agli altri la piaga della desolazione assoluta.
Gli "Altri tempi", senza dover essere di necessità un’espressione mitica a sostegno del buon tempo antico, ci insegnano invece, evidentemente dopo essere stati contestualizzati, a non ripetere gli errori passati, ma soprattutto a non perdere di vista gli esempi che possono essere di guida nel nuovo sociale in cui si vive.
Intanto, dal punto cui siamo arrivati, continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. (Fil.3,16)

17) La piaga della critica e della disobbedienza
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!
Tutte le piaghe, in modo diretto o indiretto, dipendono dal Secolo e quindi dalla piaga del secolarismo segue anche la critica maledicente e la disobbedienza manifesta e voluta. Eppure le parole dell’Apostolo Paolo sono di una chiarezza disarmante, non c’è assolutamente bisogno di imbastirci sopra chissà quale elucubrazione:
Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con ogni sorta di malignità. (Ef.4,31)
 Oggi tuttavia anche il cristiano non ci pensa due volte a seguire l’opinione pubblica che spesso, senza saper distinguere un elefante da una mosca, guidata da correnti paganeggianti e mistificatorie, calunnia, accusa e diffama, critica e deforma, sempre con l’indice puntato sul suo prossimo, a volte sugli stessi superiori, dimenticandosi delle parole del Vangelo, un pensiero ripetuto cinque volte, tre in Matteo e due in Luca:
Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello. (Mat.7,5)

Ancora Paolo, a questo proposito, richiama la comunità di Roma e di nuovo le sue parole sono semplici e chiare:
Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Chi si oppone quindi all'autorità, si oppone all'ordine stabilito da Dio. E quelli che si oppongono si attireranno addosso la condanna. (Rom.13,1-4)
Se questo vale per l’autorità politica a maggior ragione devono essere rispettate e obbedite le autorità gerarchiche che la Chiesa Cattolica ha sempre identificato con i Vescovi. Di nuovo i Santi, questi sconosciuti, hanno dato l’esempio: mai una parola contro i diretti superiori, sempre un’obbedienza assoluta, anche se, allo stesso tempo, sono stati cercati altri percorsi alternativi per raggiungere l’obiettivo primario che ci si era proposti quando il superiore, forse indegno, o inconsapevole, ne impediva la realizzazione.
In seconda battuta, la Storia stessa (anch’essa "questa sconosciuta") insegna che là dove non c’è stata obbedienza, ne sono seguite frattura e divisione, contravvenendo a un ordine esplicito di Cristo (Siate un corpo solo e un’anima sola). Non è sufficiente? Non bastano gli ammonimenti dei Santi e della Storia? Allo stesso tempo la Sapienza divina e quella umana?
Eppure, nonostante gli ammonimenti di Paolo, che i più progressisti hanno sempre sulla bocca, ma che, allo stesso tempo ritoccano a proprio piacimento quando le parole dell’Apostolo non sono di pieno gradimento, troppe sono le maldicenze e le critiche infondate buttate oltretutto in pasto ai mass media (che non aspettano altro che compiacersi dello scandalo), senza prudenza: fu l’atteggiamento che fece tanto soffrire Paolo VI e, a seguire, anche Benedetto XVI, proprio perché non arrivava da fuori, dal Mondo, ma da dentro, dagli stessi cristiani se non dagli stessi ministri.
Paolo invita invece alla riservatezza, ad affrontare con amore e tremore i dissensi interni, le eventuali ingiustizie, i soprusi… che non possono essere risolti da un giudice pagano se non li riesce a comporre la carità cristiana, e se anche così fosse, ne verrebbe una triste vergogna per i cristiani che un pagano possa riuscire là dove fallisce l’amore cristiano:
Se dunque avete liti per cose di questo mondo, voi prendete a giudici gente senza autorità nella Chiesa? Lo dico per vostra vergogna! Cosicché non vi sarebbe proprio nessuna persona saggia tra di voi che possa far da arbitro tra fratello e fratello? anzi, un fratello è chiamato in giudizio dal fratello e per di più davanti a infedeli! E dire che è già per voi una sconfitta avere liti vicendevoli! Perché non subire piuttosto l'ingiustizia? Perché non lasciarvi piuttosto privare di ciò che vi appartiene?  voi invece che commettete ingiustizia e rubate, e ciò ai fratelli!  non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? (1Cor.6,4-9)
Meglio subire l’ingiustizia, ma essere giusti, che non subirla ed essere ingiusti! Il mondo questa legge non può capirla, il cristiano, sì! Altrimenti non è un cristiano.

18) La piaga del curialismo
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

La Curia è indispensabile per la sopravvivenza della Chiesa nel mondo: non sono ancora un anarchico! Ogni istituzione ha bisogno di organizzarsi, di raccogliere notizie, di dare delle direttive… La nostra Chiesa poi è una! Non solo perché ha una fede comune, che è la cosa più importante, ma perché segue le direttive del Vicario di Cristo in terra unito ai successori degli Apostoli, che sono i Vescovi.
D’altra parte sarebbe molto difficile una fede comune se ogni nazione, ogni diocesi, ogni parrocchia non fosse in comunione con tutte le altre; con il tempo si registrerebbero fratture che non potrebbero che disgregare quello che stava particolarmente a cuore al Maestro: Siate un corpo solo e un’anima sola. Insomma, essere a priori contro la Curia e chi ci lavora, mi pare poco ragionevole; ancor meno ragionevole è il giudizio che condanna e assolve su questo spartiacque assunto come metro assoluto e aprioristico.
Mi ricordo che a non pochi fedeli ma soprattutto a pseudo fedeli, non piaceva Papa Ratzinger:
Ma perché? – chiedevo io, sempre alla ricerca di una risposta coerente, che contasse cioè sulla ragionevolezza di un giudizio che di ragionevole non aveva proprio nulla.
E’ un prete di curia… Sempre lì in Vaticano… Responsabile del Sant’Uffizio… l’ex inquisizione… Un teologo!..
Al di là dunque di certi pregiudizi infantili, con piaga del curialismo intendo la lenta burocrazia della Chiesa che, come quella dello Stato, conta tempi infiniti; intendo il legalismo, soprattutto quello giuridico, privo di anima e di prospettiva pastorale; intendo l’immobilismo di chi è sordo alle lettere dei fedeli e dei sacerdoti e non le prende neppure in considerazione; intendo un potere non a servizio della comunità ecclesiale, o addirittura d’impedimento alle iniziative, alla vita vissuta, allo Spirito; intendo l’atteggiamento del tipico burocrate che, gustando il potere che ha tra le sue mani, fa segnare la Via Crucis a chi si trova nella condizione di dover dipendere da lui; intendo infine il brutto ruolo di Azzeccagarbugli e di don Abbondio che un burocrate può riassumere in sé quando cerca con la sua arte di ingannare i poveri ignoranti, o di far passare i colpevoli per innocenti, se non gli innocenti per colpevoli.
Legano, infatti, pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. (Mat.23,4)
Se già certe esperienze sono insopportabili in un servizio pubblico sostenuto dalle tasse dei cittadini, diventano scandalose nella Chiesa di Cristo che si dovrebbe fondare sulla Carità e sull’Amore reciproco.
Troppo delicato quest’argomento per proporre degli esempi che comunque ci sono, non avrei difficoltà a ricordarne tanti, ma anche troppo specifici e riconducibili senza troppa fatica a situazioni, a persone ancora viventi e a luoghi non sconosciuti. Preferisco tacerli perché non è nelle mie intenzioni imbastire un processo contro qualcuno, o anche solo giudicare. Qui si vuole solo riflettere su certe storture che, con un po’ di buona volontà, tutta umana, e con una sufficiente dose di trascendenza, tutta divina, per alimentare rispettivamente il buon senso e la Carità, potrebbero essere sanate.

19) La piaga della dittature
La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… spesso è così!

 Sono le parrocchie dove il parroco (non salgo sulla scala gerarchica per timore e tremore) diventa un piccolo dittatore, un po’ come succede nel Secolo. Ho conosciuto in prima battuta certi dirigenti scolastici quali piccoli dittatori, ma non mancano i dittatori politici, con il proprio seguito (anche in tempo di democrazia), certi capi ufficio, certi primari, certi insegnanti universitari, ma poi giù giù per la scala del prestigio, anche certi piccoli imprenditori, o professori,  certi capi reparto, certi capi famiglia (anche se questi ultimi sono ormai una specie in via d’estinzione).
Non potevano così mancare anche i preti, sebbene la loro dittatura risulti meno coercitiva, soprattutto oggi perché il fedele non ci pensa due volte a piantare tutto se il Don non è di suo gradimento e, grazie ai mezzi di comunicazione, affacciarsi magari sulla parrocchia vicina (alimentando la piaga delle botteghe), o starsene comodamente a casa propria.
I consigli pastorali, che a volte non ci sono neppure, o, se ci sono, esistono solo di facciata, hanno un potere decisionale pressoché inesistente: l’ultima parola spetta sempre a lui, al "dittatore" insomma. Così il dittatore decide da solo se incrementare o no il conto in banca della parrocchia, o mirare alle opere assistenziali, o al restauro della chiesa; da solo il dittatore pianifica la liturgia (quando la pianifica), la celebrazione dei funerali, delle prime comunioni, dei battesimi, dei matrimoni, con le condizioni, gli obblighi, le scadenze che definisce sempre e comunque da solo; da solo definisce quando e come essere disponibile e rintracciabile, se fare del servizio all’altare uno spettacolo, o seguirne le direttive conciliari, o annullarlo del tutto… E poi ci sono le manie, le trascuratezze, i ritardi, le assenze, i silenzi, le pretese e le stranezze…
Quante volte ho sentito anche richiamare i fedeli non proprio ossequiosi nel modo più classico e scontato:
Guarda che qui non è casa tua!
E no! Questa è proprio la casa dei tuoi fedeli, don Dittatore! Semmai, non è la tua di casa: tu passi, i fedeli con le loro famiglie, con i figli e i figli dei loro figli restano, e il tempio con tutti gli annessi e i connessi appartengono a loro!
La comunità ecclesiale è comunione, dove ogni membro ha ruolo specifico, con un carisma specifico: è un peccato contro lo Spirito non permettere ai fedeli di esercitarlo; ed è un peccato contro il più grande comandamento non esercitare la Carità che è assente là proprio dove c’è una dittatura. Non mi pare necessario ripresentare il passo paolino dei carismi, ma non posso esimermi da ricordare quello della Carità, sebbene sia sicuro che proprio i dittatori lo conoscano benissimo perché per esercitare e giustificare la propria dittatura lo ricordano sistematicamente agli altri come dovere primario del cristianesimo:
La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità.  copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. (1Cor.13,4-7)



20) La piaga dell’attivismo

La premessa è d’obbligo: non sempre è così, ma… a volte è così!

Non mi sfiora neppure l’idea di criticare l’attivismo cristiano: andrei contro le stesse parole della Sacra Scrittura:
Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?  un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? ì anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. (Giac.2,16-17)
Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato,  e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. (Mat.25,34-36)
Che s’intenda per "fame", "sete", "nudità", "malattia", una condizione materiale o spirituale, o entrambe, in ogni caso gli affamati, gli assetati, gli ammalati, gli stranieri e i prigionieri non si possono soccorrere standosene comodamente in poltrona, ma bisogna attivarsi, altrimenti si ricade nella piaga dell’indifferenza e dell’assenza.
E allora?.. Allora con "piaga dell’attivismo" intendo che al cristiano non è permessa un’azione senza Cristo, che perderebbe ogni significato:
erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa.  aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola;  invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti».  Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta». (Luca10, 38-42)
 L’azione deve seguire la Parola, non la può precedere, né se ne può dimenticare:
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. (Rom.8,9)
 L’errore cui porta l’attivismo senza Cristo tra i cristiani (che pur sempre è degno di rispetto per la buona volontà degli operatori), è di adeguarsi alle categorie del Secolo: allinearsi alle sciocchezze che spesso sono sfornate dalle autorità politiche; compromettersi con le categorie del mondo; rinnegare nei fatti la propria fede per timore di "offendere" la fede degli altri; sposare le apparenze di un’azione superficiale, inconcludente, disorganizzata e priva di fondamenta; dimenticare la preghiera, i sacramenti, la dimensione ecclesiale alla quale si appartiene.
 Sembrano, agli occhi di questo Secolo, banalità ormai superate, ma per un cristiano credente e consapevole non è così: è proprio la sostanza che viene meno, è la differenza che passa tra il filantropismo (che non è certo da disprezzare) e l’agape che sta però su un piano del tutto superiore.
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. (Gio.13,34)
Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. (1Gio. 3,16)
Il filantropismo non darà mai la vita per i fratelli, che rimangono in ogni caso "esseri umani"degni di ogni rispetto, ma non "fratelli". Il filantropismo poi è privo di radici, sorretto anche da una forte simpatia e da tanta umanità, ma senza Dio, senza almeno il Dio cristiano che si è rivelato in Cristo: non è una differenza da poco per un credente, è la differenza che fa appunto essere o no credenti!
 Cristo, si badi bene, non annulla l’umanità, ma la nobilita, la porta a perfezionamento: Gratia naturam non tollit sed perficit, sosteneva Tommaso d’Aquino. Oggi invece sembra che la croce sia un ostacolo, un imbroglio, un impedimento, e molti cristiani tentano di disfarsene quasi infastiditi. Sono le conseguenze di un’istruzione laicista, a volte inconsapevole tanto è entrata nelle ossa di tutti: inconsapevoli i genitori, inconsapevoli i docenti, inconsapevoli spesso gli stessi preti.
La vera Storia invece si apre in ogni tempo testimone della Verità, e la Verità ci insegna che i Santi hanno portato a compimento opere ciclopiche proprio nella preghiera, rafforzati dalle virtù teologali della Fede, della Speranza e della Carità, spesso sprovvisti di tutto, ma fiduciosi nella Provvidenza. Nella misura in cui i collaboratori e i discepoli sono stati fedeli allo spirito della Regola dei fondatori, l’opera ha avuto successo, nella misura in cui la Regola è stata elusa, o di essa si è conservata solo la lettera, le opere hanno conosciuto un lento crepuscolo, che spesso è attribuito maldestramente ai tempi (Sai, i tempi sono cambiati!). Sì, è vero, sono cambiati, ma forse quei Santi hanno operato in tempi ancora più difficili.


C)  APPENDICI


Appendice 1 (Sulla società irriflessiva senza pazienza)

Mi laureai presso la laicissima Università di Torino con una tesi su San Tommaso d’Aquino che aveva lasciato invariata la mia media conseguita fino ad allora. Ne ero rimasto deluso ma non fino al punto di potermene particolarmente meravigliare: innanzi tutto perché non ero mai corso dietro al voto, ma poi perché il teologo Nelson Sella, ormai ultraottantenne che mi aveva aiutato in quella ricerca, aveva riso di me fin dall’inizio, come se fossi stato una mosca rara:
E tu – mi diceva – vuoi presentare Tommaso all’Università di Torino!? Ma ti rendi conto di quello che fai!?
Perché, canonico – gli rispondevo nella mia ingenuità abissale – anche San Tommaso è un filosofo e forse il più grande filosofo di tutto il Medio Evo; e poi all’Università c’è proprio una cattedra specifica, riservata alla Filosofia Medioevale: se non si tratta di San Tommaso in quell’ambito!
Fai come vuoi – e sorrideva (o forse sogghignava tutto divertito) – fai come vuoi, ma… dai retta  a me: quelli la tua tesi non te la leggono neppure!
Come sarebbe a dire che non me la leggono neppure?!..
Non te la leggono neppure: dai retta a me!
Ma perché non dovrebbero leggerla?! – insistevo io.
Perché non la capiscono, sono a digiuno di questa materia.
Ma non è possibile – protestavo – in una facoltà di filosofia che non si legge… non si conosce San Tommaso!
Gli portavo così ogni volta delle nuove citazioni in latino dove io ero abituato a sviscerarne all’osso la traduzione più idonea e il pensiero più adeguato, assalito da mille dubbi di natura linguistica e filosofica.
Ma che cosa vai a cercare? – mi ripeteva – Ma chi credi che possa venire a chiederti queste cose… ma vivi in pace! – e rideva di gusto e si fregava le mani.
Senti – mi disse un giorno – vieni con me! – e mi trascinò quasi a forza in cattedrale; quasi a forza perché mancavano pochi giorni alla consegna del mio lavoro e io avevo ben altre cose per la testa.
Una volta entrati nella chiesa deserta, il canonico si arrampicò come un giovincello su per la scaletta che portava all’organo, che era stato appena restaurato, e cominciò a suonare, saltellando su quella pedaliera come un passerotto. Non mi ricordo che cosa ebbe a suonare, ma era certamente un pezzo molto bello che diede un tocco magico alla giornata, stupito anche dall’abilità del maestro (il canonico oltre ad essere plurilaureato, era organista e maestro di musica).
Ti è piaciuto? – mi chiese alla fine.
Sì… bellissimo!
A quanti pensi che possa piacere un concerto di questo genere? – riprese lui.
A molti penso, a molti.
Ieri in cattedrale erano in venticinque, in una città di cinquantamila anime; e il concerto era gratuito. Che cosa mi dici?
Bè… Non saprei: strano però!
Non è strano: sono i tempi che sono cambiati. Il sublime può essere colto solo con la pazienza e il tempo e oggi manca la pazienza e il tempo. Non vedi che sono tutti di corsa e… corrono dietro a chissà  che cosa poi. Intendo dire che Tommaso come Bach non sono più di moda: ci vuole troppa pazienza e troppo tempo per capirli! E poi…
E poi?..
E poi tu sai che Tommaso è stato, e in un certo senso lo è ancora, il filosofo prediletto dalla chiesa cattolica…
E allora?
E allora... i laici non lo amano… - poi si rabbuiò - aspettati di tutto!
Non avevo capito allora il messaggio, anzi lo avevo capito benissimo, ma non condividevo quel giudizio così di parte e lo accolsi con sospetto, come una cattiveria di un vecchio prete contro le istituzioni libere di una scuola libera e non confessionale. Come potrebbe, mi chiedevo, la filosofia, la letteratura, le scienze aver un colore?  Tommaso è Tommaso, Gentile è Gentile, Marx e Marx… poi se ne può o meno condividere il pensiero, ma… il pensiero non dovrebbe avere un colore, il pensiero è libero… e per condividerlo o no bisogna prima conoscerlo.
Ebbe ragione lui! Chi lo avrebbe mai detto!



Appendice 2  (Sulla possibilità reale del volontariato)


(Riporto, così come l’ho ricevuta, la relazione che ho richiesto a Piero sull’impresa che i Testimoni di Geova stanno realizzando a Cameri, vicino a Novara: la si provi a leggere senza essere annebbiati dai fumi della prepotenza e dell’arroganza. Mi ricorda le imprese dei Benedettini, dei Francescani e di tante altre congregazioni che oggi, nei loro responsabili, dimentichi dell’opera dei santi fondatori, si scusano sempre con la stessa scappatoia: Erano altri tempi!)
Purtroppo non mi sento di darti cifre esatte perché non voglio vendere fumo. Prendi quindi come indicativo ciò che ti scrivo.

Quello che vedo è che ci sono circa una cinquantina di volontari fissi, stanziali dormono in appartamenti e bungalow costruiti appositamente) una fluttuazione di volontari giornalieri che varia da 30 a 80, secondo le esigenze del momento (quando ad esempio ci sono le gettate di cemento il taglio degli alberi, alcune demolizioni, ecc.). Ogni volontario, che ha fatto precedentemente un corso sulla sicurezza sul lavoro, dà la sua disponibilità e viene chiamato secondo esigenze del cantiere. I dispositivi di protezione individuali (caschi, scarpe e stivali antinfortunistici, tappi e cuffie auricolari, occhiali e maschere, giubbotti fosforescenti, ecc.) sono forniti dall'organizzazione, ma ognuno è libero di usare mezzi personali propri, purché omologati secondo le leggi vigenti.
C'è un direttore dei lavori che è legalmente responsabile anche delle persone che vi lavorano; ci sono due vicedirettori che sono responsabili dei lavori rispettivamente all’interno e all’esterno della struttura; questi sono affiancati da capisquadra, che hanno l’incarico di coordinare il lavoro dei volontari fissi e dei volontari giornalieri.

I volontari super specializzati (ingegneri, architetti) arrivano da ogni parte d’Italia o dall’estero europeo, mentre per specializzazioni più semplici (capomastri, elettricisti, idraulici…) vengono inviati dal Comitato Regionale, ma ci sono anche italiani provenienti da altre regioni e pure stranieri (ci sono svedesi, francesi, inglesi, tedeschi…). I generici (come me ad esempio) arrivano dalle congregazioni locali. L’orario di lavoro è dalle ore 8 alle ore 12, poi dalle ore 13 alle ore 17. Raramente è chiesto di fare lavoro straordinario, se per qualche motivo il programma di lavoro è stato rallentato.

Macchinari anche mastodontici sono manovrati indifferentemente da donne e uomini abilitati allo scopo. I macchinari sono di proprietà della Filiale nazionale e sono dati ai vari comitati regionali secondo i vari programmi di costruzione. Esiste una squadra di manutenzione dei mezzi, con una officina e una falegnameria non so dirti se sono tutti giornalieri o ci sono anche stanziali). Noi di Valle mosso (ovviamente tutti giornalieri) di solito siamo assegnati a lavori di giardinaggio (taglio alberi, taglio erba, taglio siepi, potature…) di manovalanza edile (preparazione cemento, piccole demolizioni, carpenteria leggera…) o pulizie (sgombero macerie, raccolta differenziata dei materiali di scarto...).

Stanziali o giornalieri siamo tutti volontari, per cui nessuno viene a sollecitare il ritmo di lavoro, tuttavia, poiché siamo tutti consapevoli di ciò per cui lavoriamo (promuovere l’adorazione a Dio) e la sensazione di fare qualcosa di utile e grande per gli altri ci motiva, per cui il “rendimento” penso sia maggiore che se fossimo stipendiati per farlo. Di certo maggiore è l’entusiasmo. Non mi è mai capitato di vedere un solo battibecco tra i fratelli. Si lavora con serietà ma anche con serenità. Ognuno assolve l’incarico del momento senza nulla obiettare. I consigli si possono dare ma alla fine l’ubbidienza (che è meglio del sacrificio – 1 Samuele 15:22-23) è ciò che conta. Vedo un clima disteso e piacevole: naturalmente parlo per me, perché non so quanto siano tranquilli coloro che hanno incarichi di grande responsabilità.

Le fasce d’età dei volontari vanno dai 18 anni ai 65 anni. Dopo questa età non è più consentito lavorare in cantiere se non per semplici consulenze. Non so perché sia adottato questo metodo, se sia una scelta dell’organizzazione, oppure un’imposizione di leggi italiane. Le coppie sposate dormono nei bungalow (mi pare che siano 15, mentre i single dormono in camerette da due persone (ovviamente maschi con maschi e femmine con femmine).    

I servizi sono comuni, per cui c’è una cucina comune (con un cuoco e aiuti cuoco, più personale generico), una mensa comune per stanziali e giornalieri (fino a qualche mese fa era servito il cibo ai tavoli, ma poi si è preferito organizzare il self service), una lavanderia comune (con macchinari lavasciuga e stiratrici). In pratica, ognuno, dopo le sue otto ore di lavoro può dilettarsi in ciò che vuole, senza avere il problema di fare la spesa, di cucinare, di lavare... Saltuariamente arriva una sorella parrucchiera per gli stanziali che ne hanno bisogno. C’è un’infermeria di primo soccorso, ma raramente interviene se non per piccoli infortuni. Non saprei dirti se i vestiti e le scarpe degli stanziali siano riparati da fratelli o sorelle di fuori, oppure no.    

Per dilettarsi ho visto che i fratelli stanziali hanno costruito un piccolo campo di calcio; gli svedesi si sono costruiti una sauna e una piccola piscina; ci sono due calciobalilla e due pingpong. Non ci sono televisori. Di solito ci si dedica allo studio personale o all’“adorazione in famiglia”. La gente va comunque a letto presto per essere fresca per il giorno dopo.


La giornata degli stanziali, dopo aver soddisfatto le esigenze fisiche personali, continua con la considerazione collettiva di una scrittura biblica (è fatta sia in italiano sia in inglese) e la colazione in mensa. Alle otto circa arrivano i giornalieri e comincia il lavoro. Ogni lunedì mattina 20 o 30 minuti vengono dedicati a lezioni sulla sicurezza nel lavoro. La sera ognuno è libero di scegliere se mangiare in mensa oppure nella sua camera.  

Io non credo che questa sia una vita da “soviet”, perché è un’aggregazione consenziente (niente a che fare con le fattorie statali sovietiche, dove i contadini venivano forzati dall’alto a collaborare, con i risultati che conosciamo). Del resto uno è libero di andare dove vuole se non se la sente più di continuare, e sarà rimpiazzato da altri che intanto si sono resi disponibili. Forse non è la società che mi prefiguro io, però è comunque una prova che dove regna l’amore cristiano (applicato seriamente) si può ottenere buoni risultati.

Ti ricordo ancora che quanto ti dico non può avere il carattere dell'ufficialità, in quanto io sono l'"ultima ruota del carro" e posso aver trascurato altri particolari che ti potrebbero fornire invece i responsabili diretti.
Comunque... quest’opera, che è situata nel comune di Cameri, vicino a Novara, si chiama “Sala delle Assemblee dei Testimoni di Geova”. È una delle più di cento opere similari che si stanno costruendo oggi in tutto il mondo, oltre che ovviamente delle migliaia di Sale del Regno in costruzione per le singole congregazioni.  Questa sala di Cameri può contenere circa 4500 posti a sedere coperti, disposti a semicircolo in direzione del palco. La struttura è insonorizzata e dotata di aria climatizzata. I lavori sono iniziati nella primavera del 2014 e termineranno nella primavera del 2016.
Forse ti chiederai perché tanto "spreco" di energie e soprattutto da dove vengono tutti questi soldi. Innanzi tutto queste sale servono a promuovere l’adorazione a Dio e ad apprendere la sua parola, quindi diamo a loro enorme importanza. In secondo luogo questi soldi arrivano dalle contribuzioni volontarie dei TdG, senza nessuna colletta organizzata o invio di bollettini con tanto di nome di chi ha contribuito. In ogni Sala del Regno o Sala delle Assemblee ci sono delle apposite cassette per chi desidera contribuire, senza che "la destra sappia cosa fa la sinistra". Almeno in Italia altri soldi arrivano attraverso il 5 x 1000, mentre ci è ancora negato il riconoscimento ufficiale per l’8 x 1000, così che non possiamo ancora contribuire a noi stessi con le detrazioni fiscali. Nonostante questo tutti i soldi raccolti possono essere investiti, dal momento che tra noi non ci sono stipendiati ma sono tutti volontari.
Ho trascurato di dirti che in costruzione ci sono anche nuove filiali nazionali e anche la nuova sede mondiale dei TdG a Warwick, nello stato di New York. Inoltre un grande sostegno economico arriva dai "Poderi Watchtower", terreni acquistati per produrre alimenti destinati agli operatori delle stamperie, affinché i costi di gestione gravino il meno possibile sui singoli fratelli dell'intera organizzazione. Inutile che ti dica che queste fattorie sono gestite da personale volontario. Comunque, ogni tipo di lavoro, compreso quello ai massimi livelli (vedi corpo direttivo) non è esente dal dovere di predicare ad altri la parola di Dio (vedi appunto Ezechiele 33:8).
Il lavoro nei cantieri ha un tempo limitato, da pochi mesi ad alcuni anni, secondo le dimensioni dei cantieri. Alcuni fratelli si fermano magari solo un mese, che coincide col loro periodo di ferie, poi sono sostituiti. Alcuni si fermano per tutto il periodo dei lavori e poi tornano alle attività che hanno consentito loro di prendersi lunghe pause. Altri non si curano per niente di quello che sarà dopo, perché considerano il lavoro nei cantieri come la cosa più importante della loro vita. Altri ancora vengono destinati ad altri cantieri e praticamente diventa il loro lavoro permanente. Ci sono alcuni che sono pensionati, pur non avendo ancora 65 anni, anche se i pensionati under 65 abbondano tra i giornalieri (come nel caso mio).
In ogni caso, tra tutti quelli che si mettono a disposizione, sono scelte persone sane (anche se di tutte le età), che abbiano un loro mezzo di locomozione per le attività di predicazione dopo il lavoro, o nei week end, in modo da pesare il meno possibile sull’organizzazione. Il carburante delle auto (benzina e gasolio) è dato gratuitamente agli stanziali; le auto sono riparate in loco. Non sono informato se gli indumenti o le calzature sono forniti o no dall’organizzazione. I viveri e i DPI sono acquistati all’ingrosso con relativo risparmio.      
Ai sorveglianti viaggianti (gli "episcopos"), che fanno della predicazione un’attività a tempo pieno e viaggiano settimanalmente da una congregazione all’altra della circoscrizione, viene effettivamente dato un piccolo "dono" in denaro, ma si tratta, mi pare, di 150 o 200 euro mensili (divisi tra marito e moglie). Per il vitto e l’alloggio sono a carico dei fratelli che li ospitano. Qualcuno può fare loro delle piccole offerte in denaro, per la benzina o per il vestiario. Le macchine su cui viaggiano sono fornite dall’organizzazione. I fratelli che si spendono a tempo pieno per l’organizzazione, quando sono vecchi, non sono abbandonati a se stessi, ma l’organizzazione ha messo in funzione delle specifiche case di riposo.  



Appendice 3   (Sull’assenza e l’indifferenza dei pastori)

Avevo appena terminato una breve riflessione sul celibato ecclesiastico e stavo passando ad un altro argomento, quando ricevetti la telefonata di mia cugina, alla quale, fin da bambini, sono stato legato da un particolare affetto. Oggi lei abita in Grecia, si è sposata con un duplice rito, cattolico e ortodosso, ma in pratica, l’aspetto religioso, per quello che ho potuto capire, si è ridotto a niente.
Il discorso cadde sulla Chiesa Cattolica e, conoscendo le mie idee, subito la cugina partì all’attacco, sperando magari di avere da me una conferma.
- Non parlarmi più di preti e di Chiesa Cattolica – mi disse – hai sentito quello che è capitato in America?
- No – risposi, sornione, ma sapendo già dove volesse parare.
- Ma sei fuori dal mondo!.. Dove vivi?!..  
- Ma!.. Si dicono tante cose!.. A proposito di che?..
- Della pedofilia!.. E’ una vergogna!.. – sbottò infuriata.
- Tu pensi veramente di essere informata su questo argomento?.. – provai ad accennare.
- Solo tu non lo sei: guarda che ne ha parlato tutto il mondo!.. E anche questo ultimo papa… ad insabbiare e a passare sotto silenzio!..
- Tu non pensi che, a ripetere all’infinito uno scandalo, la verità sia gravemente distorta?..
- Che cosa c’entra: i preti sono o non sono pedofili?..
- No, non sono pedofili, o lo sono nella misura in cui sono pedofili tutti gli altri.
- Per un prete però è una cosa moto grave!.. E’ meglio lasciarlo sposare a questo punto!
- Certo che è grave, ma tu non puoi fare di tutte le erbe un fascio e dovresti capire che l’astinenza non conduce alla pedofilia, altrimenti confondi gli elefanti con le banane.
- Cominciai a parlare di cifre e di percentuali, a smascherare confusioni manifeste o latenti (le avevo tutte in testa, non mi fu difficile!).
- Tu sei troppo preparato, ne sai più di me e il confronto si fa impari – concluse – non è giusto!
- Informati anche tu allora invece di seguire solo una campana e la stampa scandalistica: non ti rendi conto che l’informazione sia della stampa che della storia è parziale e distorta?!..
- Figurati… la storia!.. Lì è meglio neppure iniziare!..
- Perché?..
- Come perché?!.. Tra crociate e inquisizione!..
- E guerre di religione! – continuai.
- Ecco appunto!
- Basta!?.. Finito lì?!.. Dalla storia non hai appreso altro?
- Che cosa dovrei ancora apprendere, secondo te, non ce n’è a sufficienza?
- Tu conosci ad esempio Don Gnocchi? Sai qual è stata la sua opera e come continua ancora oggi?
- Sì, ma non sono proprio bene informata… Ma che cosa c’entra?! Comunque so che ha fatto delle belle cose…
- Solo belle?..
- Che vuoi che ti dica, non ho una cultura come la tua a proposito!
- Però sai che tutti i preti sono pedofili!
- Non ho detto che tutti i preti sono pedofili!
- Mi spieghi allora perché se un prete sbaglia, viene riportato sulle pagine dei giornali un numero inimmaginabile di volte e, se invece fa cose grandi, appena viene ricordato? Questo non è scandalismo a buon mercato? e solo per solleticare la curiosità morbosa della gente su cui c’è sempre da guadagnare?!
- Non ho detto di non conoscere Don Gnocchi!..
- Già… non hai detto di non conoscere… Però i tuoi giornali ne parlano?
- Tocca alla tua Chiesa parlarne!
- E certo che ne parla sulle reti cattoliche: ma sai quanti Don Gnocchi e quanti Don Bosco e quanti Cottolengo ci sono nella storia della Chiesa?
-
- e suor Maria Atonia Averna?!
- Chi?..
- Suor Maria Antonia Averna!
- E chi è?..
- E già… chi è! Fondò nel lontano 1848 le Suore Immacolate di Ivrea. Ce ne sono state migliaia e hanno accudito i più poveri. Nella cittadina dove sono stato per tanto tempo, con il loro asilo, hanno seguito i figli degli operai, impegnati nel tessile. Quando si sono ritirate, dopo cento e cinquanta anni, non hanno ricevuto neppure un grazie: né dal sindaco, né dal parroco, né dal direttore didattico, né dalla popolazione… Che cosa facevano allora i tuoi giornali?! Sai quante di queste suore fondatrici ci sono state nella storia, quando nessuno si occupava di ammalati, di poveri, di vecchi, di bambini?!
-
- Tu pensi che gli scandali facciano bene alla gente?
- No che non fanno bene… Però se ci sono...
- Se ci sono li devo per forza amplificare?! Se qualcuno ha cercato di mettere a tacere certe cose vergognose, bisogna necessariamente fargliene una colpa o… ringraziarlo?!
- Non è stato però preso nessun provvedimento!
- E chi te l’ha detto? La tua stampa di prima?! Ah, povera cugina, a questo punto, sei tu l’ingenua o sono io?
La discussione fu molto più lunga evidentemente, anche perché avevo un bagaglio di cose da dire e mia cugina, che mi ha sempre stimato moltissimo e che è sostanzialmente onesta e intelligente, taceva e ascoltava. Se non ché, la discussione ebbe inaspettatamente una svolta brusca:
- Vedi - le dissi - nella visione Neotestamentaria, il sacerdote non è più a mezzo servizio, ma è servizio lui stesso, diventa Gesù e ci parla come ci parlerebbe Gesù. Il sacerdote ha lasciato tutto, famiglia, figli, beni… e Lo ha seguito e…
- Ma lascia perdere per favore – mi interruppe!
- Come sarebbe a dire?!
- Senti, tu avrai tutte le conoscenze che pretendi di avere…
- Ma io non pretendo niente ! Sei tu che…
- Senti, di preti ne ho conosciuti tanti, ma nessuno mi ha dato la sensazione di aver lasciato tutto!
- Ma…
- Quello che fanno lo fanno sempre e solo perché interessati!
-
- Non hanno mai tempo per ascoltarti!
-
- Una volta devono pranzare, l’altra devono dormire, l’altra sono attesi…
- Adesso non esageriamo! Possibile che tu non abbia mai conosciuto un prete che ti andasse a genio?!
- E tu lo hai conosciuto?
- Sì!
- Quanti?
- Due… tre…
- Su quanti?!
- Su… tanti! – bisbigliai d’un fiato.
- E allora!.. che mi dici!.. che hanno lasciato tutto!?.. Qui, a ***, ce n’è uno che è indifferente a tutto! Si fa i fatti suoi e non si interessa di nessuno! Ma che mi racconti!
- Anche loro hanno i loro limiti…
- Sì, ma io, senza essere prete, cerco di essere vicina a chi soffre; loro se la defilano!

Si continuò ancora parecchio, ma al secondo confronto fui io a soccombere e a tacere rattristato di fronte a quella presa di posizione estrema, ma… in parte vera.
Erano cose che sapevo già, ma che, a sentirle, così, dopo la mia dotta disquisizione, mi fecero stare male non poco, anche perché la mia esperienza non si allontanava molto da quella di mia cugina.
A che serve parlare di concili – pensavo – di canoni, di Vecchio e di Nuovo Testamento, di esegesi… Se poi manca la cosa essenziale… la Carità!
Quella sera mi ritrovai a letto a pensare, non più come la sera prima, al II Concilio di Trullo, ma al mistero del cuore umano e della sua debolezza. Mi riproposi di non giudicare nessuno… ma mi chiesi come potesse venire meno o attenuarsi, anche solo per un momento, l’entusiasmo per Cristo, sempre che prima ci fosse stato! Perché la teoria si allontanasse così tanto dalla prassi… dal senso di tutto…
La soddisfazione della sera avanti, per aver concluso un capitolo del mio lavoretto, fu offuscata…
Mi voltai sul fianco e allungai la mano destra, appoggiata sul tavolino:
-  Prendimi per mano Gesù – pregai in silenzio - conducimi dove tu sai… illumina la mente di questo povero professore di filosofia che più sa e più brancola nel buio della sua dotta ignoranza…
Mi addormentai quasi subito e il dolce abbandono mi restituì un po’ di serenità.

Sarebbe però ingiusto terminare così, ingiusto e fuorviante.

Conobbi un prete, il suo nome era don Eugenio ed era parroco alla parrocchia della Speranza in Cossato. Lo conoscevo da poco, ma lui probabilmente aveva avuto l’occasione di conoscere me. Mi ero appena sposato ed ero rimasto senza un quattrino, giacché per vent’anni avevo servito la Chiesa e non mi ero mai posto il problema di preparare economicamente un mio eventuale matrimonio. Lo confidai a don Eugenio, così, tanto per dire.
Questa fu la sua risposta:
- Vincenzo, io ho messo da parte un gruzzoletto per cambiare l’automobile ormai vecchiotta, però… l’auto può anche aspettare, posso ancora tirare avanti con quella che ho. Se hai bisogno di denaro, te lo posso imprestare io. Quando me lo potrai restituire, lo restituirai, altrimenti, fa lo stesso: va bene così!

Evidentemente non ne approfittai; lo ringraziai, quelle parole però non le avrei potute più dimenticare: sono state un riscatto per tutte le altre esperienze un po’ meno edificanti che lascio nella penna. E’ proprio vero: Non sempre, non ovunque è così.



Appendice 4    (sulla solitudine e l’incomunicabilità)

Una giovane ragazza ha lasciato questo triste messaggio, dopo essersi tolta la vita … queste parole non possono essere state proferite invano, senza che il mondo che "cammina troppo  in fretta", non si degni di fermarsi per un istante a raccogliere il sospiro di una delle sue tante vittime, che ha lanciato un grido di aiuto, un monito a chi vive, una preghiera a chi però non sente perché…  ha paura, ha paura dei silenzi, di fermarsi anche solo per un momento, ha paura di guardarsi dentro e chiedersi:
Che fai?..  Chi sei?.. Per quale ragione ti affanni cosi?..
Perché dovrebbe rispondere necessariamente:
Non lo so!
E allora perché?
Non lo so!
Che senso ha continuare così?
Non lo so!
E’ la paura di dover rimettere in discussione tutto e di dover ammettere:
Fino ad oggi sono corso dietro a cose inutili; ho pensato che l’essenziale fosse moltiplicare il capitale in banca… fosse la bellezza del mio corpo… fosse la carriera nella politica, nello sport, nel lavoro… Ci ho messo tutte le mie energie e adesso che ci sono arrivato?
Oppure:
 E adesso che non ci sono arrivato e so per certo che non ci arriverò mai, che ne sarà di me?.. Che farò?
Gli anni intanto sono passati, ci si è avvicinati alla meta, ma… alla meta di che?.. se tutto quello per cui si è vissuti ci sarà tolto inesorabilmente o non si è mai riusciti ad ottenerlo perché… ci si riconosce  falliti?..
E allora?..
Non ci devo pensare!.. – è la soluzione dei più in prima sentenza.
Mi devo curare… Sono depresso! – è la soluzione dei più in seconda sentenza.
Non vale la pena continuare! – è la soluzione di una minoranza che si fa sempre meno minoranza.
Altre soluzioni? La nostra società sembra che non le conosca perché quasi tutti, anche i Cristiani praticanti, anche i famigerati Testimoni di Geova che ti svegliano di pomeriggio quando stai facendo il pisolino, al di fuori di un particolare contesto, si accodano alla massa e tacciono, se non sono in gruppo tacciono, hanno paura e tacciono … hanno paura di un mondo che cammina troppo in fretta e temono di essere derisi, di sentirsi esclusi, di appartenere ad un’altra razza…
Eppure papa Giovanni Paolo II ci gridava:
Non abbiate paura!
Non abbiamo paura di appartenere ad un’altra razza: è la razza prediletta dal Signore… Anche se non siamo belli, siamo gli ultimi della classe, il conto in banca è prosciugato, nessuno ci ascolta… Che importa? I beni di questo mondo passano… la Sua Parola dura in eterno.
Su, allora, proviamo a capovolgere le parti:
Quanto è ridicolo chi ha passato la vita a raccogliere carta straccia o ad accumulare dei metalli luccicanti … Ma lo vedete?.. Tutta una vita per guadagnare e portare della cartaccia lurida e infetta ad uno sportello, a firmare, a riceverne in cambio un pezzo di carta più pulito che comunemente viene chiamato ricevuta e poi… di nuovo ad affannarsi a metterne insieme altra cartaccia per ritornare a quello sportello e fare la stessa cosa… per anni… per decenni… per una vita… appunto!
Quanto è di nuovo ridicolo chi ha celebrato la bellezza del suo corpo fino a passare intere a giornate adaggiustarsi in palestra, poi davanti allo specchio, poi… dal chirurgo… a gonfiarsi, tagliarsi e rattopparsi e a vedersi comunque sfiorire inesorabilmente nell’arco di pochi anni!
Quanto è ancora ridicola quella formichina che si èfatta strada a calci e a pugni… Non ha guardato in faccia a nessuno, si è compromessa, si è prostituita, ad unghie e a morsi ha conquistato la vetta e, a tarda età, ci si trova accoccolata sopra, la tiene stretta, ma già da lontano c’è chi, molto più giovane, come lui trent’anni prima, non aspetta altro che dia un segno di cedimento, per rimpiazzarla alla prima occasione.
E che dire della formichina dotta che ha passato la sua vita sui libri, conosce di greco e di latino, conosce i best seller dell’ultima ora, conosce tutte le opere d’arte sparse un po’ ovunque e ha intrapreso lunghi viaggi per godersele; conosce i lungometraggi dei registi sulla cresta dell’onda, ed è consapevole, a torto o a ragione, di essere un ottimo critico perché nessuno le è da meno?!
A fianco le cammina, da una parte, la formichina filosofo, alla ricerca del sapere primordiale, della substantia ultima, una volta discepola di Aristotele, oggi dei guru indiani, indecisa se darsi allo  yoga o agli yogurt… dall’altra, la formichina ufologa che cerca, tra le stelle e le piramidi, marziani e alieni da mondi sconosciuti  e da dischi volanti.
Tutte e tre conoscono vagamente di un libro intitolato Bibbia, e se mai l’hanno aperto è solo per cercarci le avventure della Maddalena e dei Templari tra santo Graal e tesori nascosti sulle orme di Leonardo.
Povere formichine!
E il cristiano dovrebbe, quando gli tocca di testimoniare la Verità, dovrebbe, nel rispetto umano, ritirarsi vergognoso nel suo guscio, come una lumaca, se non addirittura approvare e acconsentire alla demenza perché ha paura di essere deriso?!. Ma deriso da chi!?..  Da una formichina su un granello di polvere che pensa di essere la misura di tutte le cose?!
Non abbiate paura! C’è ben altro di cui avere paura quando saremo giudicati e dovremo spiegare come abbiamo trascorso l’esistenza e come abbiamo speso i talenti che ci sono stati dati:
Io ho accumulato due quintali di carta… si chiamavano dollari, euro, sterline… qui però… non servono!
Io mi sono preoccupato del mio corpo… era una bellezza… peccato che…stia imputridendo!.
Io sono diventato presidente, deputato, ministro… tenevo in mano una nazione.
Io ho letto… tanti libri, ho visto tanti film, sono stato al teatro e all’opera, conosco tutte le meraviglie dell’arte e della scienza… però...



Appendice 5  (Riflessione, fine anni ’80, sulla riforma liturgica  del Concilio Vaticano II)

Alla distanza di più di trent’anni dal Concilio Vaticano II, mi pare, in riferimento alla mia esperienza, che l’applicazione delle disposizioni liturgiche lasci molto a desiderare e sono convinto che, tranne il passaggio dal latino all’italiano, che ha reso accessibile a tutti la lettura dei Testi sacri e le orazioni penitenziali, offertorie, eucaristiche, per il resto, la preparazione dell’azione liturgica fosse molto più scrupolosa un tempo.
Partecipazione non vuol dire improvvisazione: mi ricordo con quanta cura il viceparroco di allora preparasse i lettori alle letture e i ministranti (chierichetti) al servizio dell’altare; con quanto decoro ci si presentasse alla celebrazione domenicale. Oggi spesso chi legge non è preparato e improvvisa: la Parola del Signore non è proclamata ma balbettata, mista a strafalcioni, errori e pasticci di ogni genere. Al servizio dell’altare concorrono bambini dell’asilo che, di frequente, sono istruiti cinque minuti prima delle funzioni, sempre che l’altare non risulti un triste deserto dove il sacerdote officia da solo.
Gli abiti dei fedeli sono trascurati quando si celebra la festa più importante della vita di un cristiano...  non sono però tali quando ci si presenta alle feste di famiglia, alle ricorrenze, a un matrimonio, a una laurea…
Le cantorie non sono per lo più al servizio della celebrazione, non preparano i fedeli ai nuovi canti, spesso fanno spettacolo. Sembrerà forse assurdo, ma era più facile seguire i canti un tempo, che si ripetevano,  sempre gli stessi, anche con la Missa De Angelis, ma a cui si partecipava, che oggi, quando ogni parrocchia ha la sua serie di canti preferiti, quando si cambia di continuo, quando si segue di più il gusto personale che la cultura della gente.
Da ultimo mi chiedo quale fine abbiano fatto i ministeri permanenti istituiti dal Concilio: l’accolitato e il lettorato quando quasi tutte le funzioni dell'accolito o del lettore vengono svolte da donne e da uomini che non sono stati consacrati ufficialmente in questo ministero…
Un caro amico, particolarmente sensibile all’azione liturgica e impegnato seriamente nella catechesi, tentò alcuni anni fa di accedere ai ministeri: non era sposato oltretutto, è insegnante come lo sono io ma molto più giovane, serio, scrupoloso e moralmente incorrotto. Mi raccontò la sua esperienza e addolorato me ne  confidò il fallimento.
In prima battuta si era recato dal suo vescovo con cui aveva un rapporto abbastanza familiare…
Bravo – gli disse – hai avuto un’ottima idea; dobbiamo anche noi concretizzare le disposizioni del Concilio e tu per questi ministeri sei proprio la persona adatta.
Ma non ci sono solo io – e il mio amico aggiunse al suo nome quello di due sacrestani della diocesi, impegnati anche loro nel servizio liturgico e nella catechesi.
Bene, bravo! – confermò il vescovo – dobbiamo però parlarne al vicario generale: vallo a trovare e vedrai che riusciremo finalmente ad arrivare a capo di qualcosa.
Il mio amico si recò dal vicario generale che lo accolse con affetto e cordialità, anche perché non era un volto sconosciuto e la sua presenza in curia non era nuova:
E’ bello trovare ancora dei giovani impegnati seriamente nel servizio liturgico e nella catechesi! – e il Vicario gli confermò tutta la solidarietà e l’apprezzamento – Da tempo stiamo aspettando l’occasione per decollare anche sui ministeri: abbiamo aspettato anche troppo!..
Ma non ci sono solo io – e il mio amico aggiunse di nuovo al suo nome quello dei due sacrestani della diocesi.
Questa è una ragione in più per darsi da fare – aggiunse con convinzione il vicario generale – però questa è materia specifica del canonico Pinco Pallino che è rettore del Seminario, tu lo conosci certamente: prendi un appuntamento e parlagliene, vedrai che finalmente potremo tutti assieme conseguire egregiamente quello che ci proponiamo.
Il mio amico non se lo fece ripetere due volte, e si recò dal canonico Pinco Pallino che fu di una paternità indicibile, amabile, sorridente, entusiasta:
E’ quello che sostengo da dieci anni – fu la risposta – bisogna muoversi altrimenti le decisioni del Concilio rimangono lettera morta. Vedi quanto sei importante: ci volevi tu perché questa diocesi si potesse mettere in cammino.
Ma non ci sono solo io – e il mio amico aggiunse di nuovo al suo nome quello dei due sacrestani.
…e questo mi consola ancora di più. Però… dovresti parlarne al vescovo: sai, è lui la massima autorità della diocesi, non possiamo assumerci certe responsabilità senza la sua benedizione.
Ma… in vero – rispose il mio amico – io arrivo proprio di là e…
…e che cosa ti ha detto?..
Di parlare con il Vicario generale…
A sì?!e… il vicario che cosa ti ha risposto?..
Di parlarne con lei e…
…e siamo a posto: hai parlato con me e io sono d’accordissimo…  diglielo al vescovo: il rettore è d’accordissimo! Contento?! Spero che tu ne sia soddisfatto… Siamo tutti soddisfatti e tutti d’accordo… Diglielo al nostro Vescovo.
E poi?!
E poi ti dirà sua eccellenza quello che devi fare.
Il collega mi spiegò che ritornò dal vescovo che puntualmente lo indirizzò dal vicario che gli ripropose il canonico rettore. Il pellegrinaggio da una cappella all’altra durò quasi un anno, fino a quando, scoraggiato e deluso, il mio amico rinunciò nel suo proposito e continuò a servire alla meno peggio, come aveva sempre fatto, i suoi fratelli, nella vigna del Signore, da extracomunitario, in nero, senza autorità né mandato.




Indice                          Pagina           

Introduzione      3


La nuova società italiana a partire

dagli anni ’60 in breve  5

1) La rivoluzione e le piaghe del Secolo   5
2) Gli effetti devastanti sotto un profilo
strettamente umano   6
3) I miti laicisti       9
I)  Il mito della ragione in simbiosi con
quello della scienza     10

 II) Il mito della libertà     11
  III) Il mito della democrazia    11
  IV) I miti pubblicitari     12

4) La Storia vera come alternativa alla storia
    dei miti e delle bugie     13
5) Silenzi e storture sulla Storia del
    Cristianesimo anche nella Scuola   16
6) Conclusione      19

B) La necessità di una Scuola Cattolica  23    

1) La Scuola Cattolica di ieri in breve   23

2) La situazione della scuola cattolica oggi   24
3) Le ragioni della crisi della scuola cattolica  25
4) Gli errori della Scuola Cattolica    26
5) Per un progetto di Scuola cattolica   30

C) Le piaghe della Chiesa     35    


Premessa      35
1) La piaga delle botteghe     37
2) La piaga del secolarismo e del compromesso 40
3) La piaga degli espedienti     44
4) La piaga della cultura sterile    46
5) La piaga del giovanismo     48

6) La piaga della diffidenza     52

7) La piaga dell’indifferenza     55
8) La piaga dell’assenza e dell’omissione   58
9) La piaga della desolazione    61
10) La piaga della sfiducia     64
11) La piaga del rispetto umano   67
12) La piaga del manageriato     69
13) La piaga del cieco ottimismo
      o buonismo di comodo     72
14) La piaga dell’astrattismo     76
15) La piaga della superficialità   78
16) La piaga degli "altri tempi"   81
17) La piaga della critica
      e della disobbedienza     83
18) La piaga del curialismo    86
19) La piaga della dittature    87
20) La piaga dell’attivismo    89

D ) APPENDICE     93

Appendice 1  (Sulla società irriflessiva)  93
 Appendice 2  (Sulla possibilità
reale del volontariato)    95
Appendice 3  (Sull’assenza e
l’indifferenza dei pastori)    101
Appendice 4 (sulla solitudine
e l’incomunicabilità)     106
Appendice 5 (Sulla liturgia)    109    





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