Parrocchia Mosso Santa Maria

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Dibattito in occasione di un lutto


Risposte e interventi
                                                                                                                                                                                                                                           

Sono contento di poter tornare su questo argomento che ha scatenato parecchie reazioni nel nostro paese,cioè l’argomento della menzogna. Affrontato in un momento tragico, ha avuto reazioni immediate: chi è uscito di Chiesa durante la proclamazione di questa parola…dicendo "che schifo"; chi nei giorni successivi ha colto l’occasione per dire che era un ulteriore prova che il parroco è motivo di divisione nel paese…..chi si è premurato di ricorrere ai soliti metodi di denigrazione….ma la cosa non mi ha trovato sprovvisto, anzi mi ha dato conferma che davvero è stata sventata la menzogna e di solito la reazione della menzogna è l’accusa e la volontà di distruggere senza apparire! Chi a Mosso non è nella menzogna ha compreso benissimo. Chi non era di Mosso ( e sono tanti!) ha apprezzato e hanno addirittura chiesto la registrazione per risentire quella meditazione che poi alla fine era semplicemente la lettera di S.Paolo agli Efesini…. Dunque lei mi chiede di dirle se la sua interpretazione della menzogna è esatta. Chiedendolo a me è ovvio che le devo rispondere alla luce di quello che sono venuto a fare a Mosso…Nonostante tutte le interpretazioni date in questi anni della mia presenza a Mosso, la verità è che sono a Mosso solo per annunciare il Vangelo, quello vero, non quello accomodante che lusinga e fa tacere la verità. Pertanto non è per vanto tutto questo, è solo dovere! Non mi interessa essere considerato il parroco pacifista e tantomeno il parroco popolarista; non mi interessa essere considerato un parroco a cui va tutto bene e che cerca i compromessi in nome di tranquillità e collaborazione…se così fosse sarebbe menzogna! Ma volendo essere coerente solo al Vangelo, devo affermare semplicemente che la menzogna è lo stato del cuore dell’uomo che non attinge i criteri del suo vivere e del suo agire da Gesù Cristo….chi vive così è nella menzogna, perché o ti sottometti al Cristo o comunque sei sempre alla ricerca di te stesso….questa è menzogna! Come Parroco è mio dovere annunciare i criteri del vivere secondo Gesù Cristo….gli altri criteri sono menzogneri! Se anche facessi le cose più strepitose che conquistano la simpatia dei Mossesi, ma non mi preoccupassi di insegnar loro che è nel Cristo che si attingono i criteri del vivere….sarei promotore di menzogna! Pertanto menzogneri sono tutti coloro che vivono senza questa illuminazione interiore ! Come si fa a capire quando si è nella menzogna o quando si è nel Cristo? Logicamente lo si capisce dall’agire: Se l’agire è conforme all’annuncio del Cristo, allora è nella verità! Ma chi sono i menzogneri? Gesù insegna ai suoi discepoli a saper distinguere i falsi profeti, cioè i menzogneri : sono gli uomini egoisti ( preoccupati solo dei propri interessi e tornaconti), amanti del denaro, vanitosi, orgogliosi, bestemmiatori, ingrati, senza amore, sleali, maldicenti, intemperanti (festaioli), nemici del bene, traditori, sfrontati, accecati dall’orgoglio, attaccati ai piaceri. Hanno anche un parvenza di religiosità, ma non hanno la forza interiore della fede, perché alla fine cercano se stessi e non Dio! Si vantano di tutto ciò di cui dovrebbero vergognarsi, tutti intenti alle cose terrene. Sono quegli uomini empi, anche se religiosi e apparentemente appartenenti alle schiere dei fedelissimi alla religiosità, che diventano così strumenti dello spirito dell’aria, che regge il mondo, lo spirito della menzogna, il diavolo. Finchè non si capisce che la vera preoccupazione è incontrare e sottomettersi a Gesù Cristo, sempre ci sarà menzogna. Ed è ovvio che nel Cristo si attingono i criteri per valutare tutte le realtà terrene, per non rischiare di servire la menzogna!
Ritornando a noi: questo parroco ha solo come obiettivo presentarvi al vivo Gesù Cristo, sapendo che facendo questo non piace, perché ovviamente è già scritto:   " Mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia…." Non è eroismo! Non è il fatto di credersi Santi o diversi! E’ solo la coerenza a quel sacerdozio che è dato per annunciare il Cristo…Chi crede? chi non crede? Non importa saperlo! La preoccupazione è altra : che venga annunciato Lui, Verità…e fin che questo parroco sarà a Mosso…sarà così !  Altro è menzogna!






Grazie per l’articolo che ha voluto scrivere in risposta al mio precedente sul "senso" della vita.
Grazie perché mi ha dato ancora una volta l’opportunità di parlare di alcuni aspetti che purtroppo ostacolano la comprensione del nostro vivere di fede.
Primo argomento da lei sollevato è il "Parroco". Lei ben sa che di questo parroco se ne dicono di ogni colore…tutti lo conoscono, tutti sanno come è, ma francamente  credo che pochi (in proporzione) abbiano veramente capito. Ma per dare un aiuto a questo suo problema le dirò che purtroppo non sono diventato prete, perché un giorno della mia vita ho deciso di fare il prete…ma il mio essere prete è semplicemente una struttura naturale a cui devo rispondere…ma mi creda con naturalezza. Questa situazione è ovvio che ha generato uno stato interiore molto preciso: questo parroco non dirà mai a nessuno e tantomeno ai Mossesi qualcosa che sia produzione dei suoi gusti o dei suoi pensieri…perché non posso, è una questione di coerenza a quello che per me è il senso del mio vivere…ma è altresì vero che stando così la situazione il parroco non si lascerà mai influenzare da pensieri, valutazioni,giudizi che non corrispondono allo spirito a cui devo rendere conto. Quella che lei chiama durezza, drasticità, non conciliante è semplicemente l’effetto di uno che non ha alcun interesse personale né da dire, né da difendere, né da farsi approvare, né da custodire gelosamente….e questa è un’altra conseguenza del fatto che non ho scelto io di diventare prete, ma è solo l’obbedire ad uno spirito che ha sempre guidato il mio essere. Lo so che tutto questo è definito come lei lo ha definito e talvolta anche peggio…ma la cosa non  mi riguarda se guardo a quel Gesù, che servo senza limitazioni, che è Dio eppure è stato solo compreso da chi con sincerità cercava Dio. Il parroco di Mosso non ama le cosiddette amicizie scaturite solo da compromessi umani e da giochi sentimentali, ma sa avere rapporti con chi ha capito che dal parroco si attinge la bellezza del vivere il Vangelo…ed è solo in questo spirito che nasce la vera comunione tra le persone. E’ vero che a Mosso sembra non esserci…ma questo parroco duro e per niente conciliante sa di essere coerente a quel Gesù di cui la gente ha bisogno…e solo di LUI, perché Lui è il Signore! Chi capisce questo, capisce il parroco! Caro Mario…non sentirà mai uscire dalla mia bocca alcuna cosa che prima non sia passata al vaglio della Parola di Dio…altrimenti sarei un traditore…davvero darei scandalo, anche se forse diventerei più piacevole, dolce…ma sa, S.Paolo già ammonisce Timoteo dicendogli di stare attento perché " verrà giorno in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutandosi di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole. Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero". Se non faccio questo… non sono prete…sono un imbonitore di folle, benvoluto, considerato…ma non certamente vero!
In quanto alla disquisizione che lei fa circa l’Antico Testamento e il Nuovo…non c’è spazio su questo foglio, per dare una risposta confortante. Dico solo alcuni accenni. Innanzitutto la metto al corrente che ogni quarta domenica del mese, questo parroco spiega al pomeriggio le Scritture…anche se non fa l’amicone di tutti. Di Mosso c’è quasi  nessuno, vengono da Biella, da Vigliano, da Borgosesia, dal vicinato ….come vede la sorgente del "senso" non interessa ! Tantomeno può interessare un parroco così!  Ma va beh! È una questione personale che però genera bruttura, perché quando ci si confronta allora con la Parola di Dio? E questo vuol dire davvero esser cristiani ?  Ovvio poi che  il parroco ,che parla con la Scrittura, giudica, ammonisce, è intollerante ! Se parlo con la Scrittura il confronto non è sul parroco…perciò il parroco non è affatto intollerante, non giudica e non ammonisce…dice solo la Scrittura!
Poi, attingere dall’Antico Testamento non è arretratezza di pensiero o durezza nel concepire la vita. Purtroppo devo denunciare l’ignoranza circa l’Antico Testamento…in quanto Gesù stesso attinge continuamente dalle Scritture antiche e dice pure:  " Non sono venuto ad abolire la Legge e i profeti, ma a portarne compimento". L’A.T. non è una storia a sé…è la storia guidata da Dio verso Gesù. Gesù sarà il compimento. Il linguaggio usato da Gesù è attinto in buona parte dai testi della Sapienza, tra cui quel Qoelet…che ha suscitato così tanta paura di durezza!





Rispondo volentieri all’argomentazione che ha voluto intitolare umanesimo, prima ateo e poi cristiano. Innanzitutto è necessario stabilire come sempre il significato di "umanesimo". Certo che come lo presenta lei l’umanesimo diventa un pericolo per l’uomo in qualsiasi campo lo si faccia entrare. Ma l’originalità dell’umanesimo non è questa, ma è esattamente il tentativo, più o meno riuscito, che lungo l’arco della storia tende a valorizzare il più possibile gli aspetti umani.
Il periodo umanistico è il periodo tra i più belli nella storia anche della nostra Italia, al punto che l’Italia ha sempre goduto il privilegio di essere una terra con radici umanistiche.L’ambizione originaria  dunque dell’umanesimo è esattamente quella di difendere e valorizzare l’uomo nella sua  totalità. Alla luce di questa visione umanistica, dobbiamo dire proprio che dove non c’è umanesimo c’è la violazione dell’uomo nelle sue espressioni più profonde.
La deviazione dunque non sta nell’umanesimo, ma sta nel fatto che l’uomo entra nella finzione e cioè, non intende più esprimere il proprio sentire, finalizzando il tutto alla semplice espressione del sentire, ma ha bisogno di fingere per esprimere qualcosa che torni a suo vantaggio….l’umanesimo non può stare con la fama e con la ricchezza, perché l’umanesimo si fonda sulla forza del dire sè, offrendosi con bellezza, stupore, meraviglia, senza pretese, ma solo con la soddisfazione del dire il bello!
Certamente che quando l’uomo perde il gusto di ricercare e coltivare in se stesso le capacità e le possibilità che ha in sé, cade nella sterilità di schemi precostituiti a cui  si deve adeguare per sopravvivere….perciò si uccide necessariamente l’umanesimo.
Ancor più quando l’uomo perde la dimensione dell’umanesimo non gli rimane che assumere come criterio "la convenienza"….spogliato dalle dimensione profondamente umane, l’uomo deve riempirsi in qualche modo e non si riempie della capacità che ha di inventare, costruire ecc…ma si riempie dei risultati, perché sono quelli da cui può trarre profitto. In effetti le capacità dell’uomo rimangono nell’uomo anche se vengono usate male o addirittura non considerate, perché sono legate alla struttura naturale (la quale dipende da Dio, che non si tira mai indietro, anche quando è rifiutato). L’uso che l’uomo ne fa determina l’umanesimo o l’agire per finzione e per  convenienza! Gli esempi che lei cita sono tranquillamente collocabili in questa logica di lettura! Tutto ciò che riguarda l’uomo e non dà all’uomo la possibilità di esprimersi per quello che è ….non è umanesimo, ma è violazione dell’umanesimo che è insito alla natura dell’uomo.
Tale visione vale anche per l’aspetto religioso della vita.
Quando Marx faceva la lettura della società umana e diceva che la religione è oppio dei popoli, in un certo senso diceva una cosa vera ( a parte la sua ideologia detta appunto marxista, come nota), ma in questa lettura ha semplicemente detto che la religione essendo una realtà esterna all’uomo, mette l’uomo in condizioni di adeguarsi senza farsene una ragione, perciò addormenta le facoltà dell’uomo. Su questo siamo d’accordo! E lo siamo sempre più, basti vedere come una tradizione religiosa riesce a oscurare anche la freschezza della mente nel suo essere  in grado di capire l’evoluzione delle situazioni e dei tempi…è davvero oppio e la cosa grave che noi con la storia delle tradizioni religiose siamo riusciti a trasformare anche il Cristianesimo in una religione che invece di innalzare l’uomo ( come è il messaggio evangelico: " Sono venuto a liberare i prigionieri" dice Gesù) lo affossa ancora di più, creando nell’uomo situazioni di dipendenza tali da fargli rinunciare alla libertà della sua razionalità…l’umanesimo è spento…la religione è oppio! Sarebbe buona cosa che quelli che vantano tanto il loro Cristianesimo tradizionale….rileggano le parole di Benedetto XVI in quella ormai sua famosa prolusione sul tema della "Ragione". Il Cristiano non può stare imprigionato alla religiosità, perché la fede cristiana è ridare all’uomo l’espressione più pulita e più libera delle sue vere facoltà, quelle che lo fanno essere immagine e somiglianza di Dio. Se così non è davvero è il decadimento del cristianesimo è la negazione dell’umanesimo è l’oppio che imprigiona i popoli.
Rispondo volentieri al richiamo "ridicolo" del film di don Camillo e Peppone. Come al solito la risposta dovrebbe venire da sé  se riusciamo a capire i termini reali del problema.
E’ vero che Giovannino Guareschi è stato uno dei più  noti umoristi della nostra letteratura, ma Guareschi è stato un uomo di pensiero non uno che ha deciso di "far ridere". Ha scelto l’umorismo come mezzo per denunciare il costume, secondo l’adagio latino: " Ridendo castigat mores". Perciò anche la vicenda don Camillo e Peppone non è stata scritta con lo scopo di far ridere…ma è una sottile analisi dell’andamento sociale e culturale  ( all’origine del dopo guerra) creatosi nell’impatto con alcune ideologie. Le due figure  di don Camillo e Peppone sono semplicemente una sintesi che riassumono stili e atteggiamenti. Sono due grandi figure sia il Parroco che il Sindaco di Brescello e non sono due caricature che fanno lo sforzo di trovare come intrattenere il pubblico. Don Camillo incarna una rivoluzionaria identità di prete che si pone al confine tra coerenza al Vangelo di Gesù è la tentazione del vivere a contatto con un sociale che ti vuole coinvolto pena l’essere escluso. Don Camillo incarna la crisi e la fatica di quella Chiesa che si prepara a dover far fronte all’evoluzione sociale. Quella Chiesa che si ritroverà a dover fare il Concilio Vaticano II° per stabilire le modalità con cui far fronte alla nuova epoca…e Giovannino Guareschi alla chiusura del Concilio Vaticano II° scriverà una "Lettera al  mio don Camillo"  ( 19 maggio 1966) in cui presenta il suo don Camillo perseguitato dall’evoluzione della Chiesa, dalle eccessive aperture ecc….perciò il don camillo di Guareschi è l’identità di un sacerdozio a servizio di una Chiesa che difende il suo essenziale: il Cristo che parla! Il don Camillo di Guareschi è il prete coraggioso che ha come suo unico riferimento il Cristo, sapendo e riconoscendo la sua debolezza prodotta dalla convivenza con un sociale che non si ispira al Cristo! La lotta di don Camillo è la lotta per mostrare come il Cristo ha la sua incidenza sociale…in tutto il tessuto che compone il vivere umano. La focosità di don Camillo è l’espressione di chi divorato dallo zelo, ricorre a metodi che soffrono del limite umano…anche se per giusta causa. Ed è bellissimo capire a fondo lo stile di rapporto col suo Crocifisso per capire la drammaticità di questo uomo prete fedele a tutti i costi, col peso del suo temperamento che lo costringe a reazioni con le quali vuole far capire che il suo Cristo intende entrare in quel tessuto sociale che lo ha emarginato. E il Peppone…non è il sindaco superficiale o cattivo o falso…è un’altra figura drammatica, perché in Peppone c’è l’identificazione di una profondo conflitto…oserei dire lo stesso di don Camillo, nella veste però di un "laico". E’ il conflitto tra l’identità profonda e la costrizione a vivere in altro modo per piacere all’ideologia ( detta da Peppone "partito"). Giovannino Guareschi fa di Peppone una denuncia alla violazione della dignità umana in nome del "partito". Peppone va di nascosto a trovare don Camillo, vuole che gli battezzi il figlio, è spiaciuto che sia trasferito ecc…..ma sempre tutto di nascosto…..Peppone ha lo stesso temperamento di don Camillo, ma Giovannino si schiera per don Camillo perché lo dichiara perdente….e dichiarandolo perdente lo dichiara il più forte, quello che ha ragione, quello che non scende a compromessi, quello che si ispira sempre all’Unico. Così facendo Giovannino dichiara la sua profonda nostalgia di un tessuto sociale che sia ispirato alle convinzioni di don Camillo, perché è solo in quelle convinzioni che la società potrà ritrovare il suo esatto equilibrio. Certo per chi deve sostenere tutto questo la strada è la solitudine….scene magistrali di Guareschi lo dichiarono con forza: Don Camillo solo alla processione con un cane….Don Camillo solo con la gabbietta degli uccellini che se ne va in altro paese…Don Camillo che si porta solo il suo Crocifisso…Don Camillo che non appare mai circondato da folla…Lui è solo col suo Cristo…in Russia con la sua Messa segreta ecc…Guareschi verrà condannato alla reclusione, perché aveva offeso Einaudi, con la sua ironia…e aveva scritto per le elezioni:  "Nella cabina del voto Dio ti vede Stalin no!". Forse è ora di smetterla di usare questi personaggi applicandoli alle nostre realtà, solo per il gusto superficiale di far ridere, senza capire la sofferenza e la fatica della ricerca che l’autore voleva esprimere…anche perché i nostri tessuti non hanno neppure più la capacità dell’ideologia !







Lo spunto che mi è stato dato dall’articolo sull’Amore, è un invito a dire come è l’Amore del Pastore ( nel caso nostro del parroco) per la sua gente.
Rispondo come sempre chiarendo i termini.
Innanzitutto mi pare importante rinfrescare il significato di Pastore o prete o parroco o qual dir  si voglia. Il Pastore non è principalmente l’organizzatore, non è l’addetto alle celebrazioni, non è il consulente sostitutivo di qualche altro organismo incapace, non è il "guru" delle situazioni, non è l’amico di tavola e di allegra brigata. Il Pastore è la garanzia della presenza di Gesù Cristo tra la gente. E’ uno che ha messo tutta la sua vita a disposizione di Gesù Cristo, perché la gente lo possa incontrare. L’esser pastore non vuol dire aver scelto un ruolo, aver scelto una strada, aver scelto anche sia pure una missione…perché l’essere pastori ( nel senso evangelico ) è il seguire una chiamata non a fare qualcosa per Dio, ma perché Gesù possa fare attraverso il chiamato. Questa visione ribalta completamente il modo di esser pastori, preti, parroci….. Infatti noi possiamo apprezzare tutti i piani pastorali elaborati per la diffusione del Vangelo, ma in effetti la sostanza dell’essere pastore non sta nella bravura di stendere piani pastorali, nell’elaborare strategie per avvicinare la gente alla religione, al vangelo ecc…..ma la sostanza dell’essere pastore sta nel fatto che chi avvicina il pastore è certo di trovare in lui la vera Parola di Gesù, quella che non attira le persone al pastore, ma le lancia verso Gesù, che Unico è la risposta alle esigenze del cuore degli uomini. Perciò l’essere Pastori è una grande responsabilità….non tanto davanti agli uomini, a qualsiasi gerarchia appartengano, ma l’essere pastori è una responsabilità davanti a Gesù….perchè il pastore deve essere assolutamente trasparente; il pastore non cerca più nulla per sé; il pastore non teme alcun fallimento, anche quando la gente non lo segue, se in cuor suo vi è la certezza di essersi consegnato totalmente a servizio di Gesù. Il pastore non si misura più sull’effetto che ha nella gente, ma sulla coerenza a quel Gesù a cui ha risposto con tutta la sua vita.
Al pastore dunque è richiesta da parte di Gesù quella totalità che si riassume in una espressione che Gesù usava per dire il suo stile di pastore: " Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo sulla terra".
Il pastore è veramente tale quando ha capito che non deve fare più nulla per se stesso, che non deve attingere soddisfazioni per sé…ma l’ottica del pastore è capire quanto la gente entra nella conoscenza di Gesù.
Questo è l’Amore del pastore.
Il Pastore ama la sua gente quando imperterrito mostra loro Gesù…in tutti i modi, in tutte le circostanze. Come? Soprattutto con la Parola. La prima comunità cristiana era impegnata, ci dicono gli Atti degli Apostoli, all’assiduo ascolto della Parola annunciata dagli apostoli.
Il Pastore è quello che prima di tutto Parla…ma non la sua parola, bensì la Parola che aiuta gli uomini a riconoscere il Cristo, a incontrarlo, a stare con Lui…Così il pastore ama la sua gente!
Solo così il Pastore ha la forza di vivere quella condizione che Gesù ha prospettato ai suoi apostoli …….."Vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo  diranno ogni di sorta di male contro di voi per causa mia e del vangelo". "Il mondo vi odierà…sarete odiati da tutti per causa mia". E’ l’amore del pastore che passa attraverso la croce…come quello di Gesù verso gli uomini.














Ho visto l’articoletto "excursus"….che aveva la pretesa di richiamare i comportamenti sessuali nella storia degli Italiani. Naturalmente non poteva mancare l’accenno-provocazione legato al 1968. Mi sembra allora di cogliere la provocazione e cercare di dare una lettura al fenomeno "sesso". Come al solito è necessario fare chiarezza sui termini usati per poi chiederci che cosa è il sesso e poi le dovute derivazioni. In un linguaggio privo di pregiudizi più o meno recenti, dire sesso significa dire diversa configurazione che nel caso è maschio e femmina ( radice latina dal verbo secare che significa dividere, tagliare…da cui il termine sexus). Pertanto in un linguaggio lineare e rispondente al vero, allora sesso è semplicemente l’essere maschio e l’essere femmina.
Se così è ne derivano alcune conseguenze…
Nel contesto umano l’essere maschio e l’essere femmina significa essere uomo e donna, cioè significa essere persona maschile e persona femminile. Il termine persona non è riferibile all’animale o a altri esseri…solamente all’uomo. Se tale è il significato di persona allora l’essere persona comporta qualcosa in più dell’essere animale…la persona risulta allora diversa nella sua struttura fondamentale da ogni altro essere vivente. La persona è insieme di istinto, ragione (psiche), spirito (configurazione dell’essere, l’impronta dell’essere, il fondamento dell’essere). Dire allora uomo di sesso maschile o femminile, significa dire essere fatto di istinto, psiche e spirito con la configurazione maschile o femminile. Ne consegue che per coerenza ai termini originari dire sesso significa dire semplicemente persona di impronta maschile o femminile.
La sessualità dunque (maschile e femminile) nella persona umana come componente della istintualità (che non è da demonizzare, bensì da valorizzare) è la forza che sospinge e alimenta e rende possibile la relazionalità. Quindi la diversità sessuale è data per la relazione. La vera relazione, quella che sta a completamento della diversità nella libertà dell’essere maschio e femmina. La relazionalità sessuale non conduce alla piatta standardizzazione dell’essere umano, non è superamento della diversità, quasi che la diversità debba diventare qualcosa che vieta o ostacola la comunione tra i due esseri…ma la vera relazionalità è quella che porta alla completezza nel rispetto dell’essere maschio e femmina, perché questo è il rispetto della naturalità della persona umana, è la sua libertà.
Ma la relazionalità sessuale è tra persone…perciò la relazionalità deve essere il risultato di un coinvolgimento della persona intera…altrimenti è tradimento della dimensione umana. Perciò il relazionarsi  sessuale non può limitarsi a una sola questione di soddisfazione di istinto….se di peccato sessuale dobbiamo parlare, dobbiamo definire peccato sessuale non tanto l’atto in sé, bensì l’uso della relazione fatta solo per una soddisfazione…è l’aver usato l’altro/a per soddisfare solo questa spinta di relazione che se non guidata diventa solo espressione istintuale, quindi neanche umana…e l’agire così è peccato, perché tradisce la dimensione umana. Perché questa espressione relazionale diventi umana è necessario che la relazione abbia sì la spinta dell’istinto ma sia coinvolta anche  la psiche e lo spirito altrimenti chi si relaziona tradisce l’essere persona. E’ vero che abbiamo sempre considerato peccaminoso il cosiddetto ( usando termini errati) rapporto sessuale ( che in termini più veri sarebbe da chiamare soddisfazione dei genitali), che diventava solo lecito nel matrimonio…ma facciamo attenzione che non è il matrimonio che fa diventare buono il rapporto sessuale, ma è la coscienza che ogni rapporto che fa relazionare con l’altro diverso deve essere un rapporto profondamente umano. Altrimenti anche il matrimonio è semplicemente la legalizzazione di una situazione che pecca contro l’umanità della persona. All’animale basta l’istinto per relazionarsi…per l’uomo il solo istinto è violazione e offesa della persona umana..,è il vero peccato. Non è dunque il matrimonio che rende buono il rapporto sessuale, ma è la capacità di relazione nel rispetto della totalità della persona. Chissà che continuando le tappe della Storia del sesso in Italia si possa dire che dal 2009 si comincia a comprendere la bellezza e la responsabilità della diversità sessuale, come occasione per relazioni capaci di capire e rispettare la dignità della persona umana.
E’ evidente che l’argomentazione che provoca una risposta è sicuramente quella sulla questione crocifissi nelle scuole. Cosa dire? Ogni risposta ci espone a valutazioni che alla fine sono solo dei pareri di ciascuno a seconda della propria emotività, tradizionalità, abitudini culturali, opinioni personali ecc…Tra i tanti pareri e le tante chiavi di lettura di questo avvenimento così esplosivo, ci può stare anche questo, che attingo da una pagina del Vangelo stesso. Luca 13…vanno da Gesù e gli riferiscono che ancora Pilato ha commesso una cosa grave. È entrato nel tempio uccidendo coloro che erano venuti per fare offerte e sacrifici….era la seconda volta che Pilato irritava fortemente i Giudei: la prima volta quando nei suoi passaggi usava e lasciava esposti gli stendardi con l’effige dell’imperatore, offendendo la sensibilità Giudea, circa l’immagine ( loro non potevano neppure fare l’immagine di Dio). Adesso appunto sottopongono a Gesù la questione. Ma quale è il cuore della questione? Lo diciamo in termini moderni: Pilato è sicuramente il potere cosiddetto "laico", ammalato di assolutezza, in altre parole divinizzato. ( sì perché dire divinità significa dire potere assoluto, superiore ad ogni altro). Pilato "snobba" la tradizione giudaica, non la capisce, come non capisce la loro civiltà e la loro cultura legata a "questa legge di Mosè"…Pilato dunque è conflittuale coi Giudei e non perde occasione di mostrare loro la sua ambizione di assolutezza. Adesso la sua entrata nel tempio…ha mostrato la sua chiara posizione di voler piegare tutto a lui…compresa la tradizione religiosa dei Giudei. Che cosa dirà Gesù davanti a questa notizia così scioccante? Il Vangelo di Luca ci lascia abbastanza sconvolti nella risposta di Gesù. Egli infatti non si pone il problema di approfondire le motivazioni, i perché, non si pone il problema di valutare il comportamento di Pilato….non si schiera neanche nella difesa di quella Tradizione, di cui Egli stesso è parte, ferita e oltraggiata dal gesto di Pilato…ma insegna a chi portava la notizia un nuovo modo di leggere la storia. Quale? Quello che con chiarezza mostrerà Lui stesso e questa volta davanti a Pilato, condotto da coloro che ora si stupiscono del gesto di Pilato. Con la differenza che il Vangelo ci dice chiaro come Pilato è stato lucido sulla motivazione per cui hanno portato Gesù da lui: " perché i tuoi capi sono gelosi di te". Come Pilato ha avuto il coraggio di riconoscere l’innocenza di Gesù, di riconoscere in Gesù l’esemplarità dell’umanità: " Ecco l’uomo". Tutto questo i Farisei, scribi e sommi sacerdoti….non hanno capito. Il potere laico distrugge una tradizione…..la Legge, quella stessa dichiarata dalla Tradizione legge di Dio, distrugge lo stesso Dio! ( come dirà S.Paolo nella sua Lettera ai Galati, ai Romani). Infatti la risposta di Gesù alla notizia è stata molto chiara in questo senso: "….se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". Parole che sembrano non avere nesso con la domanda a Lui rivolta, ma la risposta di Gesù appunto innalza lo sguardo e va oltre l’avvenimento e pone i suoi ascoltatori nella condizione di non stare a discutere né sull’atto di Pilato, né sulla strage intendendola come conseguenza dei peccati commessi da quei Giudei uccisi.  Gesù insegna a leggere gli avvenimenti della storia e capire come fare a non perdere di vista l’essenziale…la conversione…e quando Gesù parla di conversione, non parla di cambiamento di vita dai peccati ai non  peccati, ma parla semplicemente di fare quel salto fondamentale che porta l’uomo a credere che Lui, Gesù, è la presenza di Dio, è il compimento di ogni legge….di Lui solo noi abbiamo bisogno. Il nostro rapporto con Dio non è più confermato dalla passiva partecipazione a una tradizione, bensì nel vivace rapporto con Lui che si comunica ai nostri cuori e dal cuore guida la nostra vita….Certo, come dice Paolo, perché la sua presenza sia certa è necessario l’Annuncio, che per i Cristiani è la vera Tradizione, che è partita dagli Apostoli…ma l’annuncio è di Lui Risorto, Vivo e la sua testimonianza non sta in una raccolta di tradizioni, bensì in una umanità che rispecchi la Sua umanità, attinta dall’annuncio, quella vissuta nella pienezza della volontà di Dio…certo odiati dagli uomini…ma la tragedia è che l’odio verrà da coloro accaniti nel proteggere una tradizione che diventa esattamente simbolo culturale e di civiltà, ma che non ha nulla a che vedere con la forza della fede.  " Attenti,ammonisce  S.Giacomo, in mezzo a voi sorgono gli anticristi…sono dei nostri" e sappiamo benissimo che Giovanni intendeva anticristi coloro che imperterriti anteponevano la certezza della loro Tradizione alla novità del Cristo.
(lettera di Giovanni cap. 2).                                                                                        





Mi permetto di fare una riflessione sul tema che lei ha toccato, intitolandolo: "DOPPIA  MORALE". "Morale", un termine molto usato, insieme a "etico", da cui le note espressioni: "moralmente giusto o sbagliato" – "eticamente giusto o sbagliato". Ma una morale o un etica che si pone come termine per valutare giusto o sbagliato che valore hanno ?… è vero che la morale decide il bene o il male, il giusto o lo sbagliato? Ecco il problema da cui partire. E’ ovvio che devo rispondere prendendo spunto dalle pagine del Vangelo. E uno dei nodi del  Vangelo più duri da accettare è proprio questo: la morale non decide se sei giusto o sbagliato…se hai fatto bene o hai fatto male…con Gesù la morale non ha più potere sull’uomo e soprattutto non è più in grado di decidere la giustizia o l’ingiustizia. Ma perché? Cosa è accaduto? La morale (l’etica) è semplicemente un criterio derivato da una impostazione di vita che si confronta su una legislazione….è moralmente giusto ciò che è conforme alla legislazione che regola comportamenti e azioni; non è giusto ciò che viola la legge che regola comportamenti e azioni. La morale dunque è sempre presente là dove vige il potere della legge, qualsiasi essa sia: politica, sociale, religiosa, relazionale ecc…dove si sono stabilite delle leggi che regolano i comportamenti, immediatamente scaturisce l’imperativo della morale o dell’etica. Introdotto  questo meccanismo si genera quella situazione che diventa pericolosa per la libertà dell’uomo: si genera il moralismo. Questa è la forza di potere generata dall’impianto morale eretto a guida delle relazioni….ovvio che i tutori della legge fanno uso di questo potere, altrimenti non avrebbero più ragione con cui dominare gli uomini…e come sempre, in questo sistema, perché è naturale alla logica della morale, le violazioni sono punite…sì perché la legge può imporsi con la punizione.  Il moralismo è tutto infiorato da queste prospettive di "punizioni"…chiaro di diverso tipo, ma che comunque generano nell’uomo i sensi di colpa che nella mistificazione sono chiamati la voce della coscienza, ma che in realtà è il ricondurre l’uomo ad avere pace solo se si sottomette al sistema moralistico, rispettoso della legge.  E’ ovvio che per chi ha capito quanto il moralismo serva a tenere strutturata una compagine di persone, lo usa indiscriminatamente, vantandosi di perfetto osservante della "morale" e dell’ "etica"…
Al tempo di Gesù i grandi rappresentanti del moralismo, capaci di tenere in mano la situazione del tessuto del popolo, con la forza della legge a cui il moralismo faceva da servitore, sono i Farisei..Scribi…Sommi Sacerdoti…Dottori della legge; a loro Gesù dice "ipocriti", perché perfetti moralisti, capaci di un moralismo esemplare e anche scrupoloso nei confronti non solo della Legge, ma addirittura delle tradizioni….ma incapaci di essere in rapporto con Dio. Gesù sconfigge il moralismo imposto all’uomo come osservanza dall’esterno….con Gesù è finito questo tempo! La novità di Gesù è un’altra: " siede a mensa con i cosiddetti peccatori, pubblicani, prostitute…" come ci dicono i Vangeli…ma perché proprio con questa "gentaglia" dicono i farisei il "vostro Maestro si mette a tavola?". La risposta di Gesù è chiara: l’uomo non si salva perché ha osservato perfettamente la moralità dettata dalla legge…d’ora in poi l’uomo si salva solo se nel cuore sa ascoltare la presenza di Dio..è Lui ed è solo Lui la guida nell’uomo, nessuna morale, nessuna etica…Lui solo è guida, nessuna Legge, perché Dio non è legge, è presenza viva. Ma ovviamente Gesù sa che dicendo questo espone al pericolo anche di inventarsi Dio, e di farsi un dio "personale" dentro di noi….perciò che Gesù si siede coi peccatori…perché il messaggio è chiaro: il criterio su cui sei certo che quel Dio che dici di sentire in Te è il vero Dio è solo quando tu  vivi la tua umanità con i criteri di Gesù…allora quello che ti guida dentro di Te è lo spirito del vero Dio! Gesù è venuto perché l’uomo potesse essere libero da ogni moralismo, ma che fosse in grado di avere dentro di sé la radice della vita che è la Verità….e Gesù è Colui che è Verità…se Lui è in Te, Tu sei l’uomo libero e ogni tua azione sarà sicuramente "Amore". Perciò non ti serve più alcuna morale o alcuna etica, ma così sconvolgi ogni compagine che si arrocca per essere sicura attorno al patrimonio del moralismo…sarai considerato un violatore….ma Gesù lo aveva anticipato ai suoi discepoli: " Gli uomini diranno male di voi, mentendo, per causa mia e del vangelo…." Cioè: gli uomini non vi vorranno perché voi ubbidite solo a me!"






Opinioni a confronto, particolarmente in questo tempo, sulla valutazione di  situazioni che toccano l’etica personale e sociale. Tutti scendono in campo per difendere le proprie posizioni: chi le ammanta di senso religioso, chi di senso sociale, chi di senso politico e, come sempre è capitato nel passato, capita anche oggi, di trovarci nella " Babele " in cui gli uomini hanno perduto il punto di riferimento e annaspano cercando quello che più può dare una  garanzia al proprio vivere personale e sociale; è la babele, perché l’uomo non distingue più realtà e sogno, verità e illusione, istinto e ragione, sentimento e intelletto….è babele !
E ultimamente con insistenza, in mezzo alla babele si viene ad affermare in modo sempre imperativo la laicità dello Stato….affermazione che assurge a pretesa di diventare punto fermo per valutare scelte personali e sociali. Ma che cosa è la laicità dello Stato in verità ? Se immediatamente tale affermazione appare logica, incontestabile, tuttavia merita di essere  capita in profondità. La premessa è che mentre si afferma la laicità dello Stato si viene a denunciare l’ingerenza della Chiesa e di nuovo si ripiomba nella solita babele di chi deve capire chi allora ha ragione …e la risposta non è più così tanto scontata. Che cosa è dunque la laicità dello Stato, vista da un’altra angolatura ?  La risposta va a rimuovere un dato fondamentale. Se la Chiesa è ritenuta inopportuna nei suoi interventi, allora significa che  laicità dello Stato è volontà di non condizionarsi alla Chiesa: si creano due campi quello che da sempre viene definito lo spirituale e il terreno, il politico e il religioso e ciascuno deve rimanere nei propri confini. Ma questa visione è vecchia, non sta più con i tempi nuovi, perché a tale definizione sottende una visione di uomo sbagliata e una visione di religioso altrettanto errata….Il fallimento della laicità consiste nel porre a fondamento del suo pensare e agire un uomo considerato solo dal punto di vista materiale: psicologico, sociale, politico ed economico… perciò un uomo morto, nel senso che sarà sempre un uomo immerso nella babele, perché privato dal suo punto di forza: lo Spirito. Dicendo questo non si intende subito parlare di Chiesa che potrebbe ingerirsi….si  tratta solo di riconoscere l’uomo nella sua struttura totale. Di ciò ne dà testimonianza tutta la storia dell’umanità sin dalle civiltà che da noi sono ritenute antiche…tutte pur immerse nel loro tenore politico, sociale, economico, militare, hanno sempre considerato l’uomo come un essere necessariamente relazionato alla divinità. Tutto questo prima ancora di essere parte di una religione ! E’ importante capire che lo Stato è per l’uomo, ma lo Stato, se è per l’uomo, deve prima capire la totalità dell’uomo. Dio non è una questione religiosa o ecclesiastica…è semplicemente una questione che riguarda l’essere dell’uomo; scartato questo, è consumato il primo grande affronto all’essere dell’uomo.  Venga pure proclamata la laicità  allora, ma con sincerità, la si chiami per nome, cioè ateismo nel senso di negazione di Dio come parte decisiva dell’essere uomo.  Lo so che si può rispondere a questa affermazione che non necessariamente quelli che sostengono la laicità dello Stato negano Dio, anzi addirittura possono essere molto religiosi…..sì, è vero !  ma il problema non è porre dei gesti religiosi per dire di non essere atei, l’ateismo è l’esclusione di Dio dalla storia personale e sociale dell’uomo. E’ sì diffusissima questa forma di religiosità che sembra avere un rapporto diretto con Dio, ma in realtà lo esclude dalla storia dell’uomo, e lo riduce semplicemente nell’ambito cultuale o comunque , in senso lato, nell’ambito delle cosiddette cose religiose, considerandolo così semplicemente un prodotto religioso e non l’essere necessario all’uomo per essere vero uomo. Un Dio " religioso" quindi non diventa pericoloso, perché ha il suo campo ristretto di azione: la religiosità, la quale è concepita come una semplice possibile opzione dell’uomo. Un Dio così non fa certamente paura a nessun stato, perché non va a toccare la vita sociale, politica, economica, riservata al pensare umano.  In effetti la laicità dello stato si sta magnificamente esprimendo in questo modo, nell’affermare che comunque qualsiasi legge che viene fatta è per una garanzia psicologica, sociale ed economica dell’uomo, che da essa ne trae un sicuro beneficio, un progresso sociale ecc… E di nuovo la laicità dello Stato pone come criteri interpretativi di bontà o meno quegli aspetti secondari , quali l’aspetto psicologico, economico, sociale, politico e di nuovo lo spirito dell’uomo non c’entra. E’ la paradossalità di chi ti fa credere di agire per il bene dell’uomo mentre già in partenza deturpa l’uomo privandolo di una sua dimensione strutturale, in nome di situazioni relative, soggette al cambiamento, come sono appunto le situazioni umane e le leggi che le regolano. E’ la più profonda schizzofrenia dell’ essere umano, colpito nella sua struttura profonda.
Nell’antica sapienza popolare greca e latina troviamo delle piccole perle letterarie con cui si mettono in risalto le inclinazioni degli uomini e quindi l’andamento del "popolo".
Una di queste forme sono le tradizionali "fiabe". Gli esponenti più di rilievo sono Esopo e Fedro.
Tra le favole :


Vulpis ad personam tragicam

Personam tragicam forte vulpes viderat;
quam postquam huc illuc semel atque iterum verterat,
'O quanta species' inquit 'cerebrum non habet.'
Hoc illis dictum est quibus honorem et gloriam
Fortuna tribuit, sensum communem abstulit.

Una volpe per caso aveva visto una maschera che serviva per la tragedia; e dopo averla girata qua e là una e due volte, disse:
" Oh  che bell’aspetto ha questa maschera, ma non ha il cervello".
Questo fu detto per quelli cui la fortuna attribuì onore e gloria, ma tolse il senso comune.

Per stare all’altezza della massa è sempre necessario inventarsi la propria maschera….la maschera trovata dalla volpe serviva alla tragedia, da cui riceve consenso;  le caratteristiche sono sempre quelle della maschera trovata dalla volpe….il messaggio è chiaro: è necessaria l’acutezza della volpe per capire che dove c’è la ricerca di consenso, c’è sempre l’assenza del "cervello"…e per cervello s’intende appunto il senso comune, cioè c’è la rinuncia alla razionalità che dà all’uomo la sua vera dimensione! La maschera quindi non è il simbolo della bugia..ma è il simbolo dell’uomo svuotato di senso, che si regge sull’apparenza e ha bisogno del consenso per sopravvivere:
E come se non bastasse :

Canis per fluvium carnem ferens

Amittit merito proprium qui alienum adpetit.
Canis, per fluvium carnem cum ferret, natans
lympharum in speculo vidit simulacrum suum,
aliamque praedam ab altero ferri putans
eripere voluit; verum decepta aviditas
et quem tenebat ore dimisit cibum,
nec quem petebat adeo potuit tangere

Perde meritatamente il proprio chi aspira all'altrui (bene).
Un cane, mentre portava carne sul fiume, nuotando  vide nello specchio delle acque la sua immagine,
e pensando che una preda diversa fosse portata da un altro volle strapparla; ma l'avidità ingannata  le fece perdere anche il cibo che teneva con la bocca, né potè così toccare quello che bramava.

Tutto è solo sottoposto alla legge del tempo…alla quale nulla sfugge…Ma l’avidità intesa non solo riferita al denaro, ma come l’atteggiamento dell’animo toglie all’uomo la capacità di capire e di discernere, sino al punto di non riconoscere neanche più se stesso ! E’ la sorte di chi ha bisogna della folla per darsi ragione!
Esopo e Fedro…lontani nel tempo, ma vicinissimi , perché conoscitori dell’animo umano, quell’uomo che è sempre uguale a se stesso …
Ripartendo da una analisi di ciò che Bacone ha affermato circa il rapporto tra autorità e intelligenza, mi pare utile riflettere su questa tematica, perché va a toccare realtà a cui non è più abitudine guardare.
Il problema dell’autorità è quello più antico e più discusso in tutta la storia, perché l’autorità è appetibile e diventa motivo di affermazione, pertanto coloro che si pongono in posti di autorità dovrebbero innanzitutto chiedersi quanto hanno saputo rinunciare all’affermazione di sé. Di solito chi anela ai posti di autorità (nella nostra civiltà) sono persone che hanno debolezza umana e hanno bisogno di affermazione, quasi di sostegno psicologico per poter sentirsi in qualche modo identificati in qualcosa. Queste persone che di solito fanno la corsa ai posti di autorità si fanno subito conoscere, perché l’esercizio della medesima autorità si svolgerà all’insegna dell’autoritarismo che esclude ogni confronto, che cerca ogni convenienza, che ha come motto: "ascolta tutti e fai come vuoi "….è la partenza del sistema di regime che noi di solito attribuiamo ad un certo periodo della nostra storia italiana…ma che in effetti è lo stile di tutti coloro che impunemente usano l’autorità per se stessi, eleggendo solo se stessi a fonte di motivazione dell’esercizio di autorità. Giustamente Bacone dice che questa autorità uccide l’intelligenza, perché chi usa così l’autorità agisce solo per istinto e perciò  viene bandita l’intelligenza, la quale invece dovrebbe reggere il compito di autorità.
Questa tendenza ai posti di autorità è molto diffusa dovunque in tutte le istituzioni, sia civili che ecclesiastiche…è una piaga che dilaga sempre più, perché stiamo andando verso una civiltà che sforna uomini insicuri, senza più la capacità di conoscere se stessi, disperatamente alla ricerca di darsi un senso, ma ancor più uomini che credono di trovare soddisfazione di sé in realtà esterne a se stessi. La nostra è una cultura che va verso una profonda situazione di egoismo umano ( non parliamo di egoismo moraleggiante…) ma l’egoismo umano è una situazione a cui l’uomo è costretto, perché svuotato, a causa dell’incapacità di trovare pienezza in se stesso e perciò cerca disperatamente di possedere qualcosa che lo faccia sentire forte….ma la gravità di questa situazione è che uomini così non faranno più il bene della collettività,  paleseranno solo un grande buonismo, ma che serve loro per ottenere consensi e convenienze, affinchè l’autorità, da loro esercitata, abbia sempre per loro motivo di compensazione…. Come trovare credibilità in costoro? Come avere certezza delle loro parole, anche se dolcissime e accomodanti ? chi più stolto dell’uomo che sta in autorità con un animo così ? E’ lo stolto di Zenone….che sta a rovina del tessuto civile, umano, religioso, oltre che l’aver già dichiarato in questo modo di aver rovinato se stesso.
Quanto lei descrive nella sua riflessione sulla base dello scorso intervento su Bacone è purtroppo vero e constatabile anche tra le più piccole realtà che ospitano un sistema di potere. Ma è ovvio che dentro a questo sistema corrotto ci stanno i Cristiani….quelli che si presentano alle fastose cerimonie e ai fastosi riti della Chiesa…dove addirittura occupano i primi posti con le insegne delle loro autorità….In questo sistema operano i cristiani che sanno mercanteggiare anche certe  gerarchie ecclesiastiche, con cui ovviamente possono scendere a compromessi ideologici, politici, economici. Ciò che è preoccupante è questo aspetto! Come può un tessuto cristiano accettare e sostenere un tale sistema che fonda le sue radici su principi che non c’entrano niente col Vangelo? Ancor più come possono dirsi cristiani gli autori di tale sistema? Credo che al di là delle proposte politiche, ideologiche, dottrine economiche e sociali con cui solitamente si disputano i poteri umani, un tessuto cristiano debba porsi prima di ogni cosa la domanda fondamentale: chi riveste l’autorità saprà attingere i principi dell’agire dal Vangelo del Cristo di cui portiamo il nome (cristiani)? Che senso ha che in un contesto cristiano vengano eletti amministratori che si dichiarono atei ( senza discutere la loro scelta personale, ma che rimane personale!) o che comunque sono palesemente contrari ad ogni ispirazione che proviene dalla fede? E ancor più come fidarsi di amministratori che per ottenere i loro obiettivi riescono a mercanteggiare con certe gerarchie ecclesiastiche? Ma regolarmene i cristiani continuano a farlo….qui non interessa essere bravi uomini o brave persone…si tratta di capire da dove si attinge l’ispirazione per amministrare un popolo che ha come patrimonio in radice l’essere cristiano. Chi ancora si preoccupa di confrontarsi su questo? Non sembri tutto questo fondamentalismo cristiano…lo sarebbe e lo è per tutti coloro che scambiano il Cristianesimo in una religione….( in termini popolari "i bigotti"…quelli che a tutti i costi salvano le apparenze religiose per acquistare credito..costoro sono fondamentalisti) ma quello di cui stiamo parlando è il vero Cristianesimo, quello che ha capito due cose fondamentali: Il Cristo è presenza che trasforma l’uomo in quanto uomo e non è una questione religiosa perché, secondo, l’obiettivo del Cristo è costruirsi il suo popolo, quello che dovrebbe essere il popolo cristiano; un popolo organizzato non su basi di ambizioni umane, bensì su espressioni derivate dalla conoscenza del volere di Dio che il credente ritrova in Gesù Cristo. L’obiettivo dei Cristiani dunque non è esercizio di potere in veste di autorità, ma è la costruzione di un popolo. Ma è Cristiano! Significa che la guida del popolo è solo Gesù Cristo, il quale dovrà essere presente con l’Annuncio del Vangelo…Solo accogliendo la Parola nasceranno le varie competenze che serviranno a costruire il popolo…tutte le competenze che rispondono alle esigenze del popolo. Le cosiddette autorità allora diventeranno servizio per la costruzione di quel popolo che ha come punto di unità il Vangelo di Gesù. E’ solo in questa visione che si spiega dunque la presenza di un prete in una porzione che può chiamarsi popolo. Certo il prete non è quello che celebra la Messa e pensa ai riti, ma nella compagine cristiana il prete ha il compito di annunciare quel Cristo che deve ispirare tutta la comunità e da cui devono uscire i vari servizi alla comunità. Purtroppo l’incrostazione della storia, la paura di un potere maltolto a chi anela ad esso, hanno portato questa figura ad essere solo servo di una realtà che deve stare fuori dalle cose del popolo, perché è amministrazione civile…e ovviamente questo ha portato le La questione affrontata nei due numeri precedenti circa la posizione degli amministratori in un contesto cristiano e la posizione del prete, merita ovviamente ancora una riflessione, dato il tema di notevole importanza. Mi sembra allora di rilevare alcune difficoltà a comprendere quanto sono andato dicendo.
La visione descritta in quei due interventi è derivata dagli Atti degli Apostoli e dalla conseguente tradizione delle Comunità Cristiane tramandataci dalle lettere degli Apostoli. E’ comprensibile quindi che questa visione faccia difficoltà ad essere compresa in un sistema come il nostro. Sistema che è molto lontano da quello che regge le prime comunità cristiane. Quindi questa visione rischia di essere interpretata o come una utopia, o come un tentativo di spiritualismo che vuole avere potere, oppure come una specie di fondamentalismo clericale. Ma il problema non è nessuno di questi, bensì nella perdita di conoscenza di quello che è veramente il vivere cristiano e soprattutto la perdita della coscienza di cosa significhi essere comunità cristiana….paradossalmente la comunità cristiana è quella che ha superato la divisione tra potere politico e religioso o potere materiale e spirituale, ma all’interno di essa vi sono compiti ben precisi, affidati a ciascuno che appartiene alla comunità.
Un’altra difficoltà che nasce sicuramente davanti a questi interventi è quella del non capire come possano stare insieme la figura del prete e l’interesse della costruzione della comunità. Anche qui la perplessità è ovvia, perché non più abituati all’esperienza vera della Comunità Cristiana, per cui si ha una visione di demarcazione tra la figura del prete e il potere civile. Ma nella comunità cristiana vera, il ruolo del prete è quello di rendere presente la conoscenza di Gesù Cristo che serve alla fede di coloro che compongono la Comunità cristiana, da questa missione ne nasce la Verità con cui devono essere letti tutti li avvenimenti della Comunità, perché deve andare sempre nella direzione del Vangelo. E’ ovvio quindi che il prete non è la sintesi di tutti i ruoli che servono alla comunità, ma è colui che deve porre attenzione a che tutto converga nell’unità della comunità cristiana, perché tutto avvenga nella spirito che rende presente nella Comunità stessa Gesù Cristo. Altra visione che è sparita dalla nostra sensibilità e per cui si è ingenerata quella paradossale spaccatura che sembra aver inventato un o una natura umana schizofrenica: una parte spirituale che va per conto suo e una parte materiale che va per conto suo. Così avviene che l’esperienza delle prime comunità è sicuramente ritenuta utopia, perché ancoro aggi non siamo neppure in grado di immaginarci come dovrebbe essere una comunità cristiana che si regge sulla parola degli apostoli che è l’Annuncio del Vangelo. E di conseguenza non riusciamo neppure ad immaginarci le conseguenze…infatti le nostre categorie sono prodotte da quelli equilibri umani che si reggono sulla spartizione di potere e non certamente sulla volontà di costruire una comunità che "sia" e non solo abbia la presunzione di "dirsi" cristiana.
grandi contraddizione tra l’essere cristiani e esercitare poteri civili che non hanno nulla a vedere con l’ispirazione del Vangelo. Sarebbe più onesto che si tolga questa ambiguità smettendola di dichiararsi cristiani…e sarebbe così più facile alla gente capire di dover scegliere tra chi garantisce favori ma afferma se stesso e chi invece è disponibile a quell’azione dello Spirito che lo aiuterà a svolgere il compito di servizio alla comunità. Ma tutto questo potrà ancora verificarsi quando si avvereranno alcune cose: i preti dovranno ritornare ad avere il coraggio di dire Gesù Cristo, presenza vera che entra nella storia e guida la storia; il Cristo che mette in crisi la storia. La gente ritrovi la necessità di ascoltare la Parola del Vangelo e la cerchino con assiduità. Chi soffre di potere abbia il coraggio di decidere, se vuole essere cristiano, tra la sottomissione al Vangelo o questa aspirazione al potere ma sempre senza ambiguità, perché le due cose non ci possano stare insieme.  Allora comincerà ad esserci un popolo che umanamente è cristiano.
La questione affrontata nei due numeri precedenti circa la posizione degli amministratori in un contesto cristiano e la posizione del prete, merita ovviamente ancora una riflessione, dato il tema di notevole importanza. Mi sembra allora di rilevare alcune difficoltà a comprendere quanto sono andato dicendo.
La visione descritta in quei due interventi è derivata dagli Atti degli Apostoli e dalla conseguente tradizione delle Comunità Cristiane tramandataci dalle lettere degli Apostoli. E’ comprensibile quindi che questa visione faccia difficoltà ad essere compresa in un sistema come il nostro. Sistema che è molto lontano da quello che regge le prime comunità cristiane. Quindi questa visione rischia di essere interpretata o come una utopia, o come un tentativo di spiritualismo che vuole avere potere, oppure come una specie di fondamentalismo clericale. Ma il problema non è nessuno di questi, bensì nella perdita di conoscenza di quello che è veramente il vivere cristiano e soprattutto la perdita della coscienza di cosa significhi essere comunità cristiana….paradossalmente la comunità cristiana è quella che ha superato la divisione tra potere politico e religioso o potere materiale e spirituale, ma all’interno di essa vi sono compiti ben precisi, affidati a ciascuno che appartiene alla comunità.
Un’altra difficoltà che nasce sicuramente davanti a questi interventi è quella del non capire come possano stare insieme la figura del prete e l’interesse della costruzione della comunità. Anche qui la perplessità è ovvia, perché non più abituati all’esperienza vera della Comunità Cristiana, per cui si ha una visione di demarcazione tra la figura del prete e il potere civile. Ma nella comunità cristiana vera, il ruolo del prete è quello di rendere presente la conoscenza di Gesù Cristo che serve alla fede di coloro che compongono la Comunità cristiana, da questa missione ne nasce la Verità con cui devono essere letti tutti li avvenimenti della Comunità, perché deve andare sempre nella direzione del Vangelo. E’ ovvio quindi che il prete non è la sintesi di tutti i ruoli che servono alla comunità, ma è colui che deve porre attenzione a che tutto converga nell’unità della comunità cristiana, perché tutto avvenga nella spirito che rende presente nella Comunità stessa Gesù Cristo. Altra visione che è sparita dalla nostra sensibilità e per cui si è ingenerata quella paradossale spaccatura che sembra aver inventato un o una natura umana schizofrenica: una parte spirituale che va per conto suo e una parte materiale che va per conto suo. Così avviene che l’esperienza delle prime comunità è sicuramente ritenuta utopia, perché ancoro aggi non siamo neppure in grado di immaginarci come dovrebbe essere una comunità cristiana che si regge sulla parola degli apostoli che è l’Annuncio del Vangelo. E di conseguenza non riusciamo neppure ad immaginarci le conseguenze…infatti le nostre categorie sono prodotte da quelli equilibri umani che si reggono sulla spartizione di potere e non certamente sulla volontà di costruire una comunità che "sia" e non solo abbia la presunzione di "dirsi" cristiana.
Ultimamente gli interventi di L’Altra Mosso si stanno muovendo nella considerazione dell’argomento "sesso", presentato in diverse manieri. E’ vero che questo è  l’argomento che va per la maggiore in questi nostri tempi, ma non perciò stesso significa che l’argomento che debba impegnare ed esaurire i nostri pensieri. Da punto di vista cristiano come si deve considerare tale argomento? Certamente ci viene subito alla mente il modo con cui lo si è sempre trattato dal punto di vista cristiano, e cioè sesso = peccato. Sempre? No si diceva, al di fuori del matrimonio è peccato, nel matrimonio è lecito, a certe condizioni comunque…e di solito le condizioni erano finalizzate alla procreazione. Tutto questo forse ci ha ostacolato nel chiederci una domanda ancora più particolareggiata: ma in che senso è peccato? E allora quando lo è veramente?
Vanno allora chiariti alcuni passaggi: dire sesso allora significa alla fine dire rapporto di soddisfazione fisica, ottenuta attraverso l’uso delle genitalità. Nel momento in cui il rapporto pone come finalità questa naturale esigenza della genitalità e ne cerca la soddisfazione, come fine a se stessa, diventa deviante per la dignità della persona umana. Infatti tale procedere è solo una incapacità di uso dei propri istinti, i quali non si devono certamente spegnere, ma devono essere guidati con l’atteggiamento proprio dell’uomo che è la razionalità. La ricerca affannosa della soddisfazione è indice comunque di immaturità umana anche se l’età è stramatura….perchè sarebbe l’ammettere di essere dominati solo dai nostri istinti. Questo comunque lo si può verificare anche con le cosiddette dipendenze (l’eccesso nel mangiare, l’eccesso nel bere, l’eccesso nel fumare….sono sintomi di incapacità a dominarsi). Allora in che senso stavolta è peccato? Se per peccato intendiamo servire delle forze che non sia la forza di Dio…è il nostro agire è ispirato e sorretto da queste forze…..è peccato nel senso che siamo dominati dall’istinto che ha come obiettivo la nostra soddisfazione e siamo dominati da questa forza: purtroppo è peccato! Ma c’è un altro risvolto importante: se per ottenere questa soddisfazione attraverso questo rapporto coinvolgiamo un’altra persona, la situazione diventa ancora più pesante, perché "uso la persona" ed è come se la uccidessi nella sua dignità, proprio perché la uso per me. E qui non vale il dire che comunque tutti e due ci si sta a fare questo…rimane il tuo atteggiamento che è peccato due volte, primo verso te stesso, perché non ti domini, poi  verso l’altro perché lo usi. Se anche l’altro ci sta a questa situazione è nella stessa condizione, per cui è una situazione peccaminosa, in quanto ferisce la dignità della persona umana. Questa situazione comunque non è da riservare a chi dichiara l’amore libero, ma purtroppo anche all’interno di  molti matrimoni può avvenire questa situazione, certamente camuffata dalla situazione legale del matrimonio, ma deteriorante il rispetto della dignità della persona umana. Quando il sesso diventa una forza dominante è sempre negativo, perché è dominante e perciò ha tutte le premesse per ferire la dignità della persona…così è peccato!

Ho visto la sua riflessione sulla Quaresima e mi dà lo spunto per completare la visione della Quaresima. E’ triste aver ridotto la Quaresima ad un semplice esercizio personale di cosiddette penitenze o mortificazioni che ormai il più delle volte riguarda solo le cose superflue; d’altra parte avendo perso il senso della comunità Cristiana è ovvio che si è anche perduto il senso originario della quaresima. In effetti il tempo della Quaresima riguarda ovviamente le singole persone, ma nell’ottica della coerenza all’essere Comunità Cristiana. Perciò la prima conversione che dobbiamo fare, anche a Mosso, è quella di chiederci se tutti siamo interessati a formare una Comunità Cristiana. Se è sì questo comporta finalmente la prospettiva della Conversione che caratterizza il cuore della Quaresima. Convertirsi per diventare Comunità Cristiana non è la cosa più semplice, ed è però la cosa più dimenticata. Ma quali sono allora i passi "quaresimali" da compiere?
Essere sinceramente capaci di chiederci se ci interessa o no Gesù Cristo. Se ci interessa allora dobbiamo ricominciare a cercare di conoscerlo sempre più. Ma come avviene questa conoscenza? Purtroppo, per Mosso, diventa necessario capire l’importanza dell’annuncio, quindi l’importanza di ascoltare chi è qui per annunciare. Cosa che a Mosso non si è ancora capita, perché appunto l’interesse non è Gesù Cristo! Rimane comunque che questa è una occasione di conversione…ma che purtroppo Mosso non vuole e per non dire la verità si abbarbica a questione puramente umane e quindi menzognere per giustificare il fatto che non si ha l’interesse per Gesù Cristo. Ma purtroppo Mosso muore….e muore proprio a livello di dignità umana….la conversione deve tener conto di questa reale situazione.
Poi il passo successivo è quello di valutare alla luce dell’annuncio che è fatto a Mosso e non dove viene comodo ascoltare parole che non ti toccano se non emotivamente, se crediamo ovviamente alla costruzione di una Comunità Cristiana a Mosso, avere il coraggio di mettere in crisi tutti gli atteggiamenti che riguardano la comunità cristiana per valutare quanto siano ispirati all’annuncio del Cristo….E tutti gli atteggiamenti significa tutte quelle realtà che riguardano la costruzione della Comunità Cristiana, perché la conversione deve avere per fine la Comunità Cristiana rinnovata. Ripeto per l’ennesima volta che nella comunità che si dichiara cristiana (deve esserci ovviamente questa premessa) non c’è alcuna distinzione tra politica e religione, tra potere temporale e quello spirituale ( termini usati da quando si è perduto il senso della comunità cristiana); non esiste nella comunità cristiana che i cosiddetti politici riescano anche a dare l’impronta etica alla comunità; non esiste che in una comunità cristiana la giustizia sia ispirata a principi puramente umani, nel senso di una giustizia derivata solo da criteri garanti i vari poteri. Se una comunità è cristiana deve sottomettersi alla luce che emana Gesù Cristo con la quale illumina la vera statura dell’essere uomini. Sia chiaro che in una Comunità Cristiana la fonte dell’ispirazione non può essere nessun altro all’infuori del Vangelo e di conseguenza la vera responsabilità di una Comunità Cristiana  è aderire al Vangelo che si traduce in scelte concrete, che non sono le iniziative quaresimali, bensì i modi diversi di essere persone umane, che hanno come unico obiettivo la costruzione della Comunità Cristiana…sottolineo Cristiana!
Allora o è così…o ancora una volta la quaresima sarà un esercizio ascetico, che servirà solo a tranquillizzare la mente, per dire di aver fatto qualcosa di penitenza….ma già i Profeti denunciavano questo modo arido di pensare di essere graditi a Dio…perché il vero digiuno e la vera penitenza era già per i Profeti l’impegno di essere popolo non secondo il re, ma secondo Dio. Ma tutto sarà possibile solo quando si ritornerà ad avere la forza di penetrare la conoscenza di Gesù, nel desiderio assiduo dell’Annuncio del suo Vangelo.










 
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